La visione è oltre le apparenze

by Mauro 17. marzo 2019 14:59

     Abbiamo bisogno di un punto di vista esterno per leggere la storia, abbiamo bisogno di fiducia per andare oltre le apparenze. L'esistenza personale si sottrae da ogni sorta di calcolo, la vita tradisce quel che si era meticolosamente preventivato. Ciascuno sperimenta tempi di oscurità ossia di crisi entro i quali non è ben chiaro dove andare o da che parte stare. Sono momenti di epocale importanza perchè dalla decisione che proprio in quelle circostanze viene presa dipenderà la direzione del proprio viaggio.

       Si tratta di esperienze all'interno delle quali ci si potrebbe confondere, abbattersi e ripiegarsi su se stessi cercando altrove “garanzie” di vita. Dalla parola che si lascia risuonare proprio in quei momenti, dunque, dipende l'esito della propria esistenza.

       Nel cuore dell'uomo risuona una parola o una controparola, l'una è per l'evoluzione e l'altra per la distruzione. La tentazione, secondo la prospettiva cristiana, dice di dare ragione a questa controparola che ha come mira l'egocentrismo senza limite.

Nella pagina evangelica di questa domenica, seconda di quaresima (Lc 9, 28-36), troviamo Gesù che si ritira con alcuni discepoli per pregare. Nel mentre che loro sono presi dal sonno così come accadrà poi nel Getsemani, Lui dialoga con Mosè ed Elia e il Suo volto diventa sfolgorante.

I discepoli poco prima avevano litigato su chi di loro fosse il più grande e, dopo il primo annuncio della passione, Pietro aveva rimproverato Gesù come a volere impedire quel cammino. Sono uomini che ancora non vedono, facili a perdere la direzione della strada, intenti ad ascoltare se stessi anziché il Maestro che li aveva chiamati. È l'umanità di ogni tempo che fa fatica ad affidarsi al Signore preferendo piccoli compromessi per acquietare l'ansia di risposte.

Ora vengono chiamati in disparte come ad avere un assaggio di quella che sarà la meta del loro cammino, la bellezza in cui profondamente ciascuno desidera dimorare. Faticano nel rimanere desti eppure riescono a vedere una scena sfolgorante, tre personaggi dinanzi ai loro occhi che stavano nella gloria di Dio. 

Sappiamo come per l'Israelita vedere il volto di Dio equivaleva a morire, era troppo questa visione per l'uomo peccatore. È la prospettiva che riconosceva la sacralità del divino e, perciò, la separazione da quel che è perituro. Nel mistero dell'incarnazione scopriremo come Dio si china contaminandosi con la realtà umana fino a sperimentarne in prima persona gli effetti della fragilità attraverso la fatica e il dolore, la solitudine del tradimento fino alla crocifissione.

Con l'incarnazione Dio non perderà la sua identità, entrerà nella vicenda umana mantenendo la sua capacità d'amore senza misura. I discepoli conoscono Gesù secondo la fattezza umana, con quel volto a loro familiare che pur mantenendo la direzione verso Gerusalemme pativa il travaglio della storia. Ora vedono altro, il suo volto luminoso così come la veste e i due testimoni del passato partecipi di quella gloria.

Israele sapeva che Mosè sul monte aveva colto la presenza di Dio nel roveto ardente e lo aveva visto di spalle. Elia, invece, ne aveva sentito la presenza nel mormorio di vento leggero. Entrambi avevano ascoltato e si erano lasciati guidare dalla Parola, la stessa che era rimasta quale riferimento del cammino di ogni ebreo. Vedono i testimoni della storia d'Israele già nella gloria, evidentemente li riconoscono per quello che odono, nessuno conosceva il volto di Mosè e di Elia, è la Parola ad aprire i loro occhi ed ascoltano il loro dialogo sull'esodo che si compirà a Gersusalemme.

Quello che sarà realizzato da Gesù è un nuovo esodo che porterà alla liberazione definitiva. Il Maestro non è solo in questo cammino, lo condivide con i discepoli e loro avranno bisogno di imparare a leggere la storia quale evento di grazia in cui Dio pienamente realizzerà la Pasqua.

La Chiesa tutta entra in questo percorso e i tempi liturgici non fanno altro che ricordare quel che la Comunità già è. Non si tratta di fuggire dalla propria storia personale e comunitaria ma di permettere alla Parola di dare senso alle cose che accadono. Altrimenti non ci sarà ermeneutica di vita.

Pietro vorrebbe piantare tre tende come a volere custodire la presenza di Dio nella storia con una dimora fatta da mani d'uomo. Ma è totalmente nuova l'esperienza che viene proposta ad ogni discepolo e sempre più, ciascuno, si scoprirà tempio del Dio vivente. Il popolo cristiano nei secoli sarà chiamato a custodire l'esperienza di fede mantenendo la relazione col Signore in mezzo ai combattimenti della vita.

Pensiamo ad una barca che attraversa un mare in tempesta e ai naviganti che, pur provati da tanti scossoni, rimangono certi che la loro imbarcazione un giorno arriverà alla riva. 

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