by Mauro
11. January 2012 22:13
In un tempo di precariato sociale e relazionale, pensiamo alla instabilità lavorativa e familiare, bisognerebbe riscoprire la preghiera quale componente della vita. Lo so, ai più sembrerà scandaloso e fatalista che io parli di preghiera, come se l’emancipazione dell’uomo dipendesse dal non pregare più! A mio avviso l’inganno nasce proprio dal sillogismo che da più parti viene propinato alle nostre menti: se non chiedi sei forte.
Questa “verità” passa attraverso l’offerta di immagini di potere volte a dimostrare come ottenere il diritto a pre-valere in questa vita. Mi rendo conto come tale orientamento possa instradare verso la patologia eretta a sistema di pensiero.
L'essere umano si ammala quando si chiude alla relazione, quando inizia a creder di poter bastare a se stesso. La preghiera è relazione, è bisogno dell’altro, non intendo la preghiera magica di chi usa le parole per ottenere potere sulle cose della vita, ma quella che permette di riconoscere che si è precari della vita. Infatti la stessa radice latina, precarius, accomuna i due termini, preghiera e precario, ed esprime il senso di dipendenza dall’altro.
Paradossalmente c’è una dipendenza che nutre la nostra vita, quella dell’intimità amorosa, dell’amicizia, del legame affettivo, propria della vita che rispetta unicità e appartenenza, altra cosa rispetto alla dipendenza che espropria dalla propria vita ed è frutto del senso di profonda solitudine e distanza dall’altro che scaturisce dal delirio di onnipotenza.
Se di Dio la tradizione cristiana può dire che in principio è la Parola, dell’uomo possiamo affermare che in principio è l’Ascolto. Equivale a riconoscere la precarietà quale risorsa che aiuta a spingersi, ogni giorno, verso la riscoperta della propria vita.