La profezia inquieta

by Mauro 2. febbraio 2013 21:56

    La Parola che la Comunità cristiana medita in questa domenica riporta un versetto del Vangelo che ha una portata straordinaria: Non è costui il falegname il figlio di Giuseppe?
           È un interrogativo che desta perplessità: Gesù è un uomo comune, uno di noi, sappiamo che lavora, fa cose che servono per arredare una casa, è uno concreto. Eppure lui dice di essere il profeta atteso, colui che avrebbe mostrato il Volto di Dio, il Messia liberatore del popolo. No, impossibile, costui non può essere Dio e visto che parla ancora cercando di stravolgere l’idea che abbiamo di Dio, allora è il caso di buttarlo giù dal monte. Ecco quel che accadde duemila anni fa a Nazareth, nella regione della Galilea. Un piccolo villaggio su un monte, con poche centinaia di abitanti. Chiaramente Nazareth oggi è ben altra cosa, conta circa 80.000 abitanti.
          C’è un’aspettativa che impedisce a Dio di rivelarsi, è la pretesa di costringere Dio e, di conseguenza, la propria vita, entro schemi prefissati.
          L’esperienza di fede cristiana è profondamente diversa, si basa sull’amore che è dono di Dio. Significa stare nella vita intendendola come scoperta, luogo in cui scoprire e realizzare una missione, un progetto condiviso con Dio. La persona autoreferenziale non accoglie questa proposta di vita, resiste e si oppone con tutte le sue forze.
         Il cammino di Gesù continua, si sottrae dalle loro pretese, la minaccia di morte di fatto si rivela come un non incontrare più Gesù nella loro vita, è un attentare alla propria di esistenza.
Ma perché la profezia è così scomoda?
         È un interrogativo che rimane aperto anche oggi, non si tratta di un mero andare contro-corrente, come tanti propagandisti vorrebbero affermare, in realtà va contro-corrente anche chi usa la violenza o chi fa grandi parate chiedendo ad altri e senza mettersi personalmente in gioco. Ma è di altro che si parla: la profezia nasce dalla profondità dell’ascolto, dallo stare senza sconti nel vissuto dell’umanità e da lì, dopo essersi immersi, ripartire con un modo rinnovato di vedere le cose. Nell’essere semplicemente “il figlio di Giuseppe, il falegname di Nazareth” si esprime proprio questa scelta di profondità e condivisione. Ma è da lì che Gesù parte, è da lì che può essere riconosciuto. In questi giorni in cui vivo in Palestina mi rendo conto della ordinarietà che Gesù ha scelto, mi raccontano gli abitanti di Betlemme che fino a cinquant’anni fa questo luogo era come allora, poco era cambiato. E ancora oggi si respira qualcosa del clima di quel tempo, un'ordinarietà che rimanda alla semplicità della vita ove ciascuno può prendersi cura solo del suo quotidiano, senza avere la pretesa di pre-programmarsi tutta la vita (dalle nostre parti questa pre-organizzazione è già preventivata dai genitori quando i loro figli sono ancora piccoli).
         Noi siamo abituati a lasciarci interpellare da ciò che è eclatante, ciò che mediaticamente è appariscente. La veridicità delle cose pare che oggi si misuri dall’audience televisivo o dalla velocità di circolazione di una notizia sul web spazio. Insomma ci pare che dalla vita ordinaria e dai contesti ordinari non possa nascere più niente di interessante.
        Eppure il mondo ha bisogno di questa ordinarietà per essere trasformato, ha bisogno della gente semplice per tornare ad essere interessante.
        Pensiamo alla ordinarietà della nostra mensa, la produzione di alimenti nel mondo basterebbe per dieci miliardi di persone, di fatto siamo circa sei miliardi su questa terra, come mai un miliardo è a grave rischio di denutrizione e tre miliardi hanno notevoli problemi per procurarsi il necessario?
         La profezia attraversa le nostre case e da lì diventa parola fuori. Ecco come ci immaginiamo la predica di Gesù, lui passa dalla sua casa di Nazareth a condividere quello che già vive, forse i suoi concittadini si saranno sentiti interpellati da una tale vicinanza? In effetti se Dio diventa vicino, condivisibile, allora inizia ad essere un po’ scomodo.

          Nasce la reazione, il Dio vicino ti mostra qual è la direzione che stai prendendo nella tua vita, ti restituisce una sana inquietudine. Certo ancora oggi molti vorrebbero cancellare ogni traccia di Dio in modo da trovare “pace”.
          Umberto Galimberti durante una conferenza qualche anno fa ebbe a dire che l’uomo contemporaneo rischia di essere omologato nell’intimo. È terribile questa espressione, come a dire che fermandoci ad ascoltarci potremmo trovare niente. Non hai niente da dire, da dire alla società e all’uomo che la abita.
         Eppure oggi c’è una Chiesa inquieta, Comunità che rimangono inquiete e provocano con la loro presenza, anche se il prezzo è davvero alto!
         Ricordate dell’arresto nel mese di ottobre scorso di due bambini cristiani in Egitto? Avevano otto e dieci anni, ed erano stati accusati di avere profanato dei fogli su cui erano scritte parole del Corano.
         Penso ai tanti che in questa terra e nei paesi vicini hanno scelto la fede cristiana. Penso ai cristiani, e non solo cristiani, di Egitto, della Palestina, della Siria, del Mali, della Turchia (anche quella), dell’Iraq, e ancora Sudan, Eritrea, Somalia, Congo e …

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