La domanda è risposta

by Mauro 11. dicembre 2016 06:35

       È prezioso, per ciascuno, formulare buone domande stando nell’incertezza del cammino. L’uomo è precario della vita e, allora, non partendo da risposte ma da dubbi di fronte all’esistenza, è chiamato a questionare la realtà. È bene inteso che non è preziosa solo la domanda ma anche l’interlocutore a cui essa viene posta.

      Ho ascoltato persone infrangere, puntualmente, la loro vita su questioni apparentemente invalicabili bloccate sui “perché”, sulle cause dei fatti, senza minimamente chiedersi il “come” affrontare tali questioni, a volte molto dolorose. L’uomo che si ferma ai perché pare rinunciare al cammino, come se l’origine fosse più importante della meta, il passato dominante rispetto al futuro.

La tradizione analitica ha supposto, nel secolo scorso, che per “sbloccare” l’esistenza di una persona era necessaria una meticolosa analisi dei perché e delle cause traumatiche ma, con l’esperienza, ci si è resi conto che questo non è sufficiente ad evolvere la storia di una persona.

È vero la persona è molto più che la sua storia narrabile, è più complessa della somma delle delusioni o gratificazioni e quel che mi pare evidente, dunque, è che la storia di ognuno è mistero!

Questionarsi è indice di salute mentale, l’individuo che ha già tutte le risposte e non attende più, rischia di ammalarsi e di cadere nel buio depressivo.

La storia biblica è sapienziale nel rivelarci questa consapevolezza, la realtà va oltre le proprie precomprensioni o etichette “diagnostiche”, non è possibile ridurre l’umano alle classificazioni del DSM, molto di più è la persona…

La pagina evangelica di questa domenica (Mt 11, 2 – 11) ci mostra un uomo, Giovanni, che pur avendo delle intuizioni profonde ha bisogno di chiedere conferma, necessita di un interlocutore. Per comprendere bisogna esplicitare i propri interrogativi, non possiamo conoscere la realtà o la persona che ci circonda se non chiediamo. Troppo l’uomo contemporaneo vive di congetture, pregiudizi, fantasie scambiate per la realtà, di notiziole spacciate dai media quali verità e, magari, un pensiero diverso viene perseguitato, additato come anacronistico, ma in nome di quale verità?

Giovanni l’amico di Gesù è arrestato, ha denunciato un’ingiustizia e perciò si trova recluso, la sua vita è al limite e sa che potrebbe morire da un momento all’altro eppure la sua attenzione non è riposta su se stesso. Già prima aveva predicato la conversione e cioè l’opporsi al male che vorrebbe sedurre e schiavizzare l’uomo per aprirsi al Bene e, perciò, preparare l’incontro con il Dio che viene.

Lui dal deserto sconfinato, senza apparenti confini, ora si trova in carcere, dentro una cella che sembra schiacciare la vita su se stesso, ripiegando l’esistenza umana in una infinita solitudine. Lui, invece, ha una domanda da porre a Gesù, un ultimo messaggio che esprime il desiderio di quest’uomo, ciò per cui lui vive: l’attesa.

No, non è schiacciato Giovanni, rimane libero anche in carcere. C’è un aspettare fine a se stesso, per appagarsi e pensare a sé, al contrario quella di Giovanni è l’attesa dell’uomo che vive sapendo che il senso della sua vita nasce da una relazione liberante, lui rimane cercatore e sa che la risposta  ultima della sua esistenza è andare oltre, da un altro. Non in termini di dipendenza ma con sano realismo cercando in Dio la risposta alla propria vita. 

Il profeta muove, allora, la domanda ardita: «Sei tu colui che è veniente o dobbiamo aspettare un altro?». Giovanni riconosce che Dio sta entrando nella storia, è “veniente” e cioè sta camminando con loro operando le sue meraviglie.

Giovanni in quel momento così critico osa chiedere e interpella il maestro chiedendogli se quello che sta accadendo è la risposta alla sua attesa. Lui, da discepolo, è disposto a verificare e cambiare quanto aveva intuito.

I progetti e i sogni di vita, non possono mantenersi su di un piano ideale ma abbisognano di concretezza per essere verificati e compresi. La realtà è più dell’idea, la realtà è vera, altrimenti l’idea potrebbe mutarsi in illusione.

La realtà supera le aspettative, la vicinanza di Dio viene spiegata con queste sfaccettature così “umane”: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». 

Lui incontra l’umanità lì dove sta, nella cecità o sordità, lebbra e incapacità a camminare. C’è un limite che sta proprio nell’essere umano e che ha bisogno di essere incontrato da Cristo Gesù. C’è una Parola che dona luce agli occhi, nutrimento a chi ascolta, guarigione a chi è ferito mortalmente. È alla luce di questa esperienza che Gesù potrà dire di non scandalizzarsi.

Perché l’uomo dovrebbe scandalizzarsi? Certo non per la grandezza e onnipotenza di Dio, i miracoli in fondo sono ricercati. Lo scandalo, piuttosto, è per la piccolezza di Dio, il suo fare decisamente “umano”.

 

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