La Croce riapre alla relazione con il Padre

by Mauro 18. aprile 2014 23:00

           Oggi si celebra la potenza della Croce, proprio da essa scaturisce la Pasqua cristiana. Certo parlare di Croce non equivale a farsi buona pubblicità o a cercare consensi.

             I più sorridono e in tanti si scagliano contro l’uso di appendere un Crocifisso nelle scuole o negli uffici. E hanno ragione, perché vedono un segno vuoto che a loro dice solo morte, non ne comprendono il significato e, oltretutto, hanno paura a vedere un segno che rimanda alla morte. Mai esperienza umana è stata tanto negata come il tema della morte oggi.  

           Anche se di fatto è certezza esistenziale, eppure si pretende di esorcizzare la morte, così come si cerca di negare tutto ciò che rimanda al limite, alla sofferenza o alla precarietà dell'esistenza.
        Il nostro secolo proclama l’emancipazione attraverso l’aborto o l’eutanasia, come a dire che determinando la morte si acquista potere su di essa. Sarà un ulteriore modo per esorcizzarne la paura?
          Di fatto il venerdì santo rimanda alla vittoria sulla morte, è la Pasqua cristiana. Da cosa scaturisce tanta ostilità? Proviamo a recuperare qualche passaggio dei fatti che preparano alla Crocifissione.
            Assistiamo ad un lungo processo, in cui man mano viene fuori una Verità che fa paura agli astanti. I soldati che vanno ad arrestare Gesù cadono sgomenti quando lui annuncia Io sono. Loro lo cercano pur non conoscendolo e quando lui si fa riconoscere ecco che cadono impauriti!
             Esserci su questa terra non equivale a vivere. Ci sono uomini che vivono un’esistenza che non è la propria, uomini che hanno trascorso la loro vita ad affaccendarsi per dimostrare di essere qualcuno, per  accaparrarsi uno status sociale o meritarsi il riconoscimento e l’amore altrui. Altri invece sono entrati nella loro storia, partendo dalla loro condizione senza rinnegarla, e con quel che avevano e, soprattutto, erano, hanno realizzato cose grandi. Se pensiamo a Gesù lui non è fuggito da una storia di precarietà e di ordinaria quotidianità, dapprima senza un posto dove nascere, poi minacciato di morte e costretto a rifugiarsi in Egitto, successivamente a lavoro con il padre, un umile artigiano, per trent'anni.
        Cristo ha combattuto un’altra battaglia mostrandosi compassionevole, dando spazio, restituendo dignità, mostrandosi fragile, ed ora si consegna a chi cerca di catturarlo. Non accetta che qualcuno dei suoi discepoli possa reagire con la spada intento a contrastare quella guarnigione con lo spargimento di sangue. Questo si, sarà versato, ma con un atteggiamento diametralmente opposto. Dopo la Pasqua i discepoli verseranno il loro sangue, saranno martirizzati, ma il loro è un dono, donerenno la Parola e a causa di questa testimonianza saranno uccisi. E' la pretesa di tutti i tempi di far tacere la Parola che mostra una vita diversa rispetto alla logica del servilismo all'idolo di turno. 
           Si assiste ad un lungo processo e  paradossalmente Gesù si rivela il vero giudice.  Erode non trova accusa contro di Lui, è spiazzato, la  sua ricerca di sensazionalismo viene delusa, è lì a non capirci nulla. È troppo in superficie per entrare nel mistero dell’uomo che ha innanzi. Per questo lo evita, lo rimanda a Pilato, dal magistrato romano, colui che può andare più in profondità con la sua pretesa, attraverso il diritto, di comprendere l’uomo. Anche lui avrà paura, lo dichiarerà più volte innocente ma alla fine cede, sa che votarlo alla morte è più conveniente per sedare gli animi, per non avere richiami dall’Imperatore che gli ha ordinato di mantenere l’ordine. C’è un ordine formale, un quieto vivere, che viene scelto anche a prezzo della vita altrui. Se cerco di trovare la mia misura nel giudizio altrui allora cercherò di assecondare il pensiero e lo sguardo sociale anche se non ne condivido i criteri.
           Pensando a questa spinta sociale mi torna in mente un contrasto a cui prestavo attenzione quando abitavo nel Bronx e mi recavo nella quinta avenue per andare nella Cattedrale di Saint Patrick a Manhattan. Proprio di fronte, innanzi al Rockefeller Center, stava la statua di Atlante che imponente reggeva il mondo (come mostra la foto). Guardavo e mi chiedevo quale assurda pretesa regolasse la vita di tanti fino a schiacciarne le esistenze. Proprio in quella piazza nel periodo natalizio veniva allocato un abete di almeno venti metri come a rappresentare l’imponenza del Natale dei consumi. Quanta distanza dal significato del vero Natale o da quell’umile uomo che stava in fondo alla Cattedrale, di fronte a quel colosso simbolo dell'economia americana, appeso ad una Croce.
         Come scrivevo nel precedente post l’uomo che si regge su di sé è votato alla più profonda solitudine, è il “giusto” di tutti i tempi, colui che si erge al di sopra degli altri per giudicarli.
           Dalla Croce invece emerge una possibilità nuova. Mentre uno dei malfattori giudica Gesù dicendogli di salvare se stesso e lui, atteggiamento comune a chi crede di pregare, l’altro si ferma ad ascoltare. Ascolta come Gesù sta affrontando la morte: rimanendo in dialogo con il Padre, perdonando quell’umanità che non comprende. Coglie, cioè, che Gesù non è solo e in questa comunione riconosce la Pasqua, il passaggio ad un modo nuovo di stare nelle cose della vita anche sulla Croce. Lo riconosce re e vede la sua di colpa per avere trascorso i suoi giorni da un’altra parte, chiuso a questo dialogo. Eppure gli chiede di ricordarsi, di tenerlo nel cuore, intuisce la potenza della misericordia di Dio. Quel malfattore celebra la Pasqua,vuole anche lui morire da figlio.
          È questa relazione che ci ridona la Pasqua, passaggio dal pensarsi e costruirsi l’esistenza da soli al consegnarsi al Padre. Se c’è questo andare oltre allora anche la morte è colta come apertura nuova al Padre, quale abbraccio totale.

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