Questa domenica siamo chiamati ad una riflessione sul senso del nostro tempo, quel tempo che scandisce i nostri giorni e che ci permette di veicolare il presente quale frutto del passato e apertura verso il futuro.
L’inizio del tempo di Avvento chiede alla Comunità cristiana di autocomprendersi come popolo in cammino rivolto verso un Incontro pieno, un evento che procura pienezza al proprio esistere. Noi cristiani ci sperimentiamo come “mancanti” di un incontro di cui abbiamo, però, già il gusto e l’intuizione. È l’ingresso nel Mistero di Dio appunto, un’esperienza che già appartiene alla nostra vita anche se non del tutto comprensibilmente chiara. Mistero significa stare, porsi innanzi per contemplare e non per comprendere ma per entrare dentro. Chi rimane spettatore del Mistero rimane chiuso nelle sue difese e paure, cerca cioè di di essere il centro della propria ed altrui vita, costui di fatto non ne coglie il gusto, non ne intuisce il senso.
Rimanere aperti alla seconda venuta di Dio significa leggere la propria storia a partire dal culmine e, attraverso la propria storia, anelare al culmine: l’Incontro con Lui. Significa comprendere i propri giorni attraverso due indici descrittivi l’attesa e la relazione.
Ogni giorno può essere colto come scontato, una routine che non ha più niente di nuovo da scoprire. Viene a mancare cioè il senso dell’attesa, quell’apertura che ci permette di cogliere con rinnovato entusiasmo ogni giornata della nostra vita perché abitata dalla Presenza di Dio amche se tutto non appare chiaro. Non potremmo seguire Cristo se non avessimo questa speranza, la sequela sarebbe mero delirio se non ci fosse la fiducia nella meta ed al contempo nell'essere accompagnati verso di essa.
Avvento, ancora, è tempo di attesa dell’altro, la relazione viene a dare connotazione al tempo che viviamo. È il tempo della promessa, il Dio che è già venuto nella nostra vita tornerà in pienezza e, nel mentre, paradossalmente ci accompagna in questo cammino. La vita di noi uomini è caratterizzata dall’attesa, il senso del tempo e del nostro esserci, così come dell’esserci dell’altro, viene sperimentato dapprima attraverso l’attesa. Essa è anticipo di ciò che poi si potrà vivere in pienezza, tempo in cui si vive la nostalgia dell’altro, ricordo che è già presenza. Eppure è evidente per tutti come l’attesa sia al contempo dolore, tristezza a motivo della mancanza. Il cammino cristiano non è esente da sofferenza, così come l'esistenza di ogni essere umano. Riempire di senso l'attesa significa trovare un modo di stare nella vita. La Scrittura provoca l'essere umano rimandandogli che non serve sapere quando sarà il tempo dell'Incontro, la fine dei propri giorni. Questa richiesta sarebbe l'ennesimo tentativo di controllare i propri giorni per non convertirsi, come di quell'uomo che attende qualche momento prima di morire per rivolgersi a Dio e a Lui chiedere accoglienza. Ogni giorno è l'"ORA" dell'Incontro, adesso posso vivere il Bene e non dopo. Allo stesso modo o è "natale" ogni giorno di questo mese o non potremo celebrarlo il 25 come se fosse un evento isolato. Questa è un'esperienza difficile per tutti, sappiamo bene quanto sia faticoso accogliere ogni giorno quale dono di Dio e occasione per vivere l'Incontro, ci sono giorni di sofferenza in cui facciamo fatica a vedere.
Il Vangelo di oggi (Lc 21, 25ss.) costituisce il culmine del discorso sul fine del mondo, il perché si vive. Alla storia appartengono le conquiste, le guerre, le vittorie così come le perdite. La storia ha un suo ciclo, una sua evoluzione ed il passo evangelico ci mostra come leggerla. Infatti può essere vissuta con terrore come luogo di paura del male per cui, paradossalmente, si agisce aggredendo per difendersi. Oppure la storia che può essere vissuta in modo diverso: quale luogo di testimonianza in cui si difende l’amore. La Croce infatti, epilogo della storia terrena di Gesù, costituisce la lotta contro lo stordimento ed ogni forma di ubriacatura che vorrebbe lasciare la vita ad un corso libero, senza la capacità decisionale propria di ogni persona.
Molti appaiono rassegnati di fronte alla crisi economica e relazionale che attraversa la nostra società, oggi più che mai si impone una scelta: o arrendersi innanzi al male fino a lasciarsi portare da esso oppure realizzare il Bene con la forza dell’amore, quello che viene dalla compagnia di Cristo nella propria vita. Vivere l’attesa equivale a vivere il tempo della speranza, non è un tempo concluso ma aperto al domani. L’esperienza del male e del dolore vorrebbe strappare all’essere umano l’apertura ad un giorno nuovo, è anche consequenziale perché la ferita istintivamente porta a chiuderci e a difenderci anche con l’aggressione se è il caso. Accanto a questa esigenza naturale, necessaria per riprendere il contatto con se stessi può seguire una reazione diversa: o di chiusura nutrendo angoscia ed ansia, o di apertura nuova avvalendosi dell’esperienza acquisita.
La pagina odierna mette in discussione il senso del tempo, sole ed astri che lo ritmano sono messi in crisi. Dal cosmo si torna al caos, è questo il tempo in cui si manifesta il Figlio dell’uomo. Non si parla di un tempo propizio nel senso di “perfetto” cioè ove tutto è in ordine così come si preparano le chiese quando c’è una solennità particolare, non è neanche il contesto lussuoso ove il “bello” viene associato al prezioso. No, non è il valore economico dato alle cose di questo mondo a rendere possibile la venuta del Figlio dell’uomo. Piuttosto è il disorientamento, il bisogno profondo di Dio perché ogni riferimento viene meno, il bisogno di ancorarsi solo in Lui a rendere propizio il momento dell’Incontro finale. Interessante notare che non viene dopo che “queste cose accadranno” ma “quando accadranno”. Ancora una volta come già è avvenuto quando stava appeso alla Croce il Figlio dell’uomo tornerà ad essere visibile. “Figlio dell’uomo” significa “giudice della storia”, colui che da un verso, un senso alla storia. In fondo proprio sulla Croce, nel perdonare quanti inveivano contro di Lui ecco che ha mostrato il suo giudizio sul mondo.
Dio resiste al tanto male che attraversa la storia, lo regge, lo contiene restituendo, in risposta, il perdono. Il Figlio dell’uomo è colui che mangia con i peccatori, che lava i piedi ai suoi discepoli, che si consegna senza opporsi con la violenza, è colui che non vuole fare perire nessuno. Vivere come Lui e cioè vincere il male con il Bene è la missione cristiana.
Un’indicazione sul “come” è l’invito a non ubriacarsi. L’ubriaco è privo di lucidità non riesce a vedere, a leggere la realtà che ha innanzi, l’ubriaco perde l’equilibrio nel cammino e cade. Le ansie sono equiparate alle ubriachezze e cioè alla perdita di equilibrio nella vita. C’è un rimando alla “pesantezza” del cuore, il cuore potrebbe appesantirsi, trincerarsi in modo difensivo. Di contro, la vigilanza ne mantiene l’alleggerimento cioè il consegnare l’angustia per nutrirsi del bene. È quello che accade nella preghiera o nella celebrazione eucaristica.