by Mauro
8. August 2013 16:30
Perché alcune persone mantengono le loro credenze malgrado le ripetute disconferme avute dal confronto con la realtà?
Ci occupiamo oggi della dimensione delirante, quella che nella nosografia psichiatrica distingue i “folli” dai “sani”. Il 13 maggio 1978 la Legge Basaglia stabilì la chiusura dei manicomi e l’istituzione dei servizi di igiene mentale pubblici, ciò rese possibile l’osservazione della malattia mentale nel contesto ove era stata generata.
La persona venne così ricollocata in una dimensione spazio/temporale che l’istituzionalizzazione aveva appiattito. Significò restituire alla clinica la capacità di comprendere i significati, i processi in atto nel soggetto in trattamento, e collocare la malattia mentale all’interno di un continuum sano/malato accorciando le distanze con chi veniva recluso
Agli inizi del ‘900 Kraepelin inquadrò clinicamente il delirio come un errore del giudizio che non muta con l’esperienza e che è dovuto ad un malfunzionamento delle facoltà superiori: intelligenza e attenzione. Jaspers ne definì le caratteristiche: assoluta certezza soggettiva, giudizio non influenzabile e incorreggibile, assurdità o impossibilità del contenuto.
Il delirio è da intendersi come l’estremo tentativo di dare coerenza e di mantenere un senso all’esperienza soggettiva. La persona cerca in questo modo di conservare o recuperare la capacità predittiva quando la sente minacciata, concretamente di fronte a un evento imprevedibile e di cui non sa darsi una ragione l’individuo trova risposte attraverso il delirio! È per questo motivo che si cerca di osservare ciò che precede il delirio, la lacerazione che lo ha provocato.
Stanghellini riferendosi al delirio paranoico afferma che all’origine del delirio starebbe un vuoto ontologico, la percezione di non essere. Trova nella forma delirante un modo per ridefinire l’esperienza fallimentare e ciò che dai clinici appare quale “delirio” è invece il modo precisamente orchestrato per garantire l’equilibrio precedente.
Questi cenni lasciano intuire quanto complesso e delicato si riveli ogni singolo intervento clinico, le difese che la persona ha trovato fino a quel momento sono le migliori strategie di adattamento che gli hanno permesso di sopravvivere.