Il Cercatore degli ultimi

by Mauro 7. June 2013 16:30

    Oggi la Comunità cristiana celebra la Festa del Cuore di Gesù ed è la Parola di Dio, come di consueto, a permettere di comprendere maggiormente il significato di questa Festa. Il Vangelo (Lc 15, 3-7) rimanda un messaggio immediato: Dio, bel Pastore, si prende cura degli “ultimi”. Ultimo è chi è perduto, chi non trova la strada, chi si sperimenta fragile e debole, incapace di camminare da solo. Così è di quella pecora perduta che viene ricercata dal Pastore, Dio è un cercatore, il suo sguardo è volto a cercare il suo gregge, i suoi figli.
        Il Vangelo non è per i “giusti”, loro infatti non ascoltano. Il giusto è colui che è pieno, noi cristiani dovremmo comprendere da che parte stiamo: sappiamo e ci crediamo attivati? Oppure siamo ricercatori, in ascolto della voce del Pastore? La parabola è rivolta a quanti sono peccatori e pubblicani, sono loro che si avvicinano a Gesù, persone fragili che sperimentano la propria difficoltà a camminare da soli o, ancora, a quanti si sono legati ai  guadagni facili e spesso disonesti. Entrambi però sperimentano che il loro cammino non si regge, o perché soli o perché poggiati sugli averi.
        Gesù mangia con loro, entra in intimità con i peccatori, condivide con loro la sua vita ed è per questo che si rivolge a loro, perché sa che stanno ad ascoltarlo.
         Il cuore di Dio è mostrato da questo uscire nella notte per cercare l’unica pecora perduta. Per Lui ciascuno è unico, non ci tratta come folla, non si sazia dei “tanti”, non si ferma alle apparenze, non cerca plausi, piuttosto vuole vedere il volto di ciascuno. Il cuore di Dio, il desiderio di Dio è questo incontro con la creatura, con ogni essere umano.
         Noi questo lo sperimentiamo proprio nel momento di difficoltà, anche se normalmente crediamo che Dio ci sta accanto perché siamo bravi e buoni, perché facciamo bene. In realtà è proprio quando siamo nel dramma della vita, feriti e fragili, che impariamo a conoscere Dio, il modo in cui Lui ci ama e ci viene incontro. Ci sono momenti nella vita in cui non ci raccapezziamo più, non capiamo più dove siamo e chi siamo, a volte ci pare perfino di avere sbagliato tutto, non sentiamo gusto e soddisfazione per la nostra vita, sono esperienze che ci prostrano e ci fanno sentire tutta la difficoltà dell’esistenza. Proprio in quei momenti potremmo andare di testa, scervellarci per cercare soluzione, in realtà tutto questo ci strema ulteriormente e non ci dà luce. Proprio in questi momenti abbiamo bisogno di scoprire il cuore di Dio, non sono i ragionamenti che possono convincerci, non è di parole che abbiamo bisogno ma della Parola che scaturisce dal Cuore di Dio.
         Dio gioisce della pecora ritrovata, Dio ci parla della sua gioia ed ci invita a gioire con Lui così come accadrà nella parabola del Padre misericordioso. Chi non gioisce è perché si crede “giusto” e per questo non bisognoso di conversione, di trovare Dio. Non gioisce la persona che giudica, sputa sentenze e si chiude agli altri, questa persona non accoglie ma rimprovera.
         La gioia piuttosto è un frutto dello Spirito Santo, è l’esperienza di chi accoglie Dio nella sua vita, altrimenti non si potrebbe gioire. Di quale gioia si parla? È il rallegrarsi di chi esce fuori, non rimane chiuso in se stesso, la gioia propria dell’amore, di chi non accetta di ripiegarsi su se stesso, ma si apre all’altro.
         Nel discorso della montagna (Lc 6) Gesù dice: “Beati voi che ora piangete perché riderete … rallegratevi in quel giorno”. Mostra cioè che c’è un rallegrarsi che è proprio di chi spera, di chi confida nel Padre, diversamente dal rallegrarsi fondato sull’immediato, sulla soddisfazione facile non tenendo conto delle conseguenze. La gioia vera è quella di chi sa rinunciare ora a qualcosa di egoistico per fare il bene, per amore. È la gioia di una madre che fa spazio ai suo figli rinunciando al proprio tempo, a qualcosa per sé pur di nutrire e dare loro vita. Proprio questa gioia mostra il Padre, Lui fa spazio, rischia uscendo fuori per trovare l’altro. C’è una fatica per arrivare alla gioia, abbiamo bisogno di uscire dalla nostra “quiete”, scomodarci per interessarci all’altro, è lì che troviamo la gioia.
        Questa gioia è collegata ad un’altra prerogativa propria del Cuore di Gesù. Lui dirà di sé che è “mite ed umile di cuore”. Nell’ebraismo il mite è il povero, e questo perché il povero non ha armi sue, non ha protettori, non ha rivendicazioni da fare basandosi sulle sue forze, il povero può solo poggiare in Dio.
         Ancora nel discorso della montagna Gesù dirà “Beati i miti perché erediteranno la terra”. Mite non è un debole ma chi lotta per l’unica cosa buona che conta nella sua vita: lui sa di avere una eredità perché figlio di Dio. Lotta per mantenere la sua relazione con il Padre, la terra è la vita, cioè il luogo che garantisce la vita, è Dio che dona la vita in eredità, è un regalo, la vita eterna.

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