Finché un artista nella sua esplorazione espressiva si spinge a schizzare le sue tele di sangue si potrebbe cogliere una “vena” direi originale,
finché l’arte veicola le passioni attraverso linguaggi inediti mi pare cosa del tutto naturale,
ma quando l’arte si fa imitazione dei sacrifici liturgici, elogio del culto pagano, immersione nei corpi (di animali) per togliere vita e averne così (a detta dell’artista) una esperienza catartica “per esorcizzare il potenziale distruttivo dell’individuo e sbloccare i tabù sociali che immobilizzano la psiche”, allora colgo che siamo da un’altra parte.
Le performance espressive di Hermann Nitsch vorrebbero suscitare un’eccitazione collettiva in cui l’impregnarsi nel sangue delle vittime sacrificali procurerebbe una consapevolezza comune, la cui forza è proprio la drammaturgia cioè l’azione dal tratto sado-masochista. Essa, in questo modo, viene a creare pensiero e a procurare un nuovo stato di coscienza.
Ho sempre apprezzato il confronto con il pensiero divergente quale potenzialità di crescita e di arricchimento reciproco, ma avverto la responsabilità di denunciare quella che reputo un’esperienza dissociativa e, oltretutto, lesiva dell’animo umano.
No, non è questione di tabù, ma di rispetto della sensibilità di una Città la cui partecipazione attiva alla vita democratica rimane un valore. Nel giro di poche settimane la petizione che ha raccolto già 9000 adesioni chiede l’abrogazione della mostra di Hermann Nitsch la cui apertura è prevista il 10 Luglio 2015 presso ZAC a Palermo.
Non convince, la presa di posizione del critico d’arte Sergio Troisi che ricorda, a chi chiede l’abolizione della mostra, le effigi del Crocifisso scolpite da frà Umile da Petralia quale esempio cruento di arte cristiana, consolidata nella tradizione della nostra terra. E non convince neanche la dichiarazione di Nitsch il quale afferma che nel suo teatro l’animale morto viene consacrato fino a diventare forma d’arte.
Sono persuaso che l’arte cristiana esprime l’esperienza di fede millenaria di un popolo che fa della contemplazione dell’effige del Crocifisso la meditazione dell’Amore di Dio, ed è ben altra cosa rispetto ad una rappresentazione teatrale. E, sono ancora persuaso, che c’è un confine tra la vita e la morte e la drammatizzazione, pur trattandosi di “arte”, non può arrogarsi il diritto di segnare la soglia d’ingresso.
La nostra Palermo ha bisogno di riscattarsi, tanto si è impoverita in questi ultimi anni, ma certo una simile manifestazione sarebbe l’ennesimo atto mancato di un’Amministrazione che, riteniamo necessario, deve prendere davvero a cuore la promozione socio-culturale della sua Città.
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