Educere soluzioni

by Mauro 19. dicembre 2011 11:02

     La mediazione ai fini della conciliazione è da intendersi come un educare alla risoluzione del conflitto, un tirar fuori risorse nuove, punti di vista inediti, per affrontare la questione problematica attraverso l'ampliamento della torta negoziale.

     Mi torna in mente, a tal proposito, un’analogia con quanto affermava Aldo Capitini riferendosi alla distinzione tra l’attività generale e l’attività per valori: la prima fa mille cose, sposta, rimuove, crea; l’attività per valori può anche dare l’impressione che sposti meno le cose del mondo, ma dall’intimo tramuta e autenticamente libera il mondo (A. Capitini, L’atto di Educare, Ed. Armano, 2010, 87). Così è della mediazione che porta alla liberazione dal carico esistenziale dovuto ai conflitti insoluti, un effetto catartico che è già in fieri quando la persona ha la possibilità di raccontarsi attraverso il mediatore.
     C’è un tempo propizio alla negoziazione, non tutti i conflitti possono essere mediati e non sempre è il momento opportuno per avviare la negoziazione. Pertanto il fattore tempo ed il fattore materia sono variabili importanti di cui il mediatore deve tenere conto. E' importante appurare il tono emotivo e verificare le reali motivazioni prima di arrivare alla definizione di un accordo. Si può avere a che fare con la perdita, con emozioni quali tristezza, rabbia, dolore, paura, per cui il mediatore deve avere la capacità di sostare, di fermare il processo per favorire l’ascolto ed il prendersi cura di quel vissuto tanto delicato. La funzione di rispecchiamento, propria del mediatore, consiste nell’entrare in empatia con la persona che si ha di fronte non portando i propri punti di vista o le proprie pre-comprensioni, ma cercando di esplorare con le parti in questione nuovi punti di vista di cui avvalersi. A tal proposito il contesto della mediazione quale metodo per arrivare alla conciliazione, è volta a stimolare risorse e nuove possibilità per ampliare la torta negoziale piuttosto che andare a cercare le ragioni del conflitto.

     La prospettiva umanistica fa da sfondo a questa considerazione, proprio perché le due parti vengono viste come detentrici di risorse, capaci di attivare modalità funzionali alla risoluzione del conflitto. Il mediatore allora ha il compito di favorire questo processo di sblocco, di uscita dalla fase di stallo, ove le due parti si sono impelagate senza riuscire ad accordarsi.
     Il consulente accoglie le persone nel momento di crisi, è un momento pesante da sostenere, faticoso, ha un costo emotivo non indifferente. È proprio passando attraverso la crisi che le parti potranno trovare una evoluzione nel loro contenzioso. La persona che si rivolge allo sportello di mediazione sovente è affranta, bisognosa di una soluzione a problematiche che quasi per automatismo ha continuato ad affrontare con aggressività, unica via trovata fino a quel momento per difendersi dalla sofferenza e lenire la ferita relazionale. È importante questa precisazione perché ci aiuta a comprendere di come la persona che si apre alla mediazione si disponga in ascolto calando le misure difensive e, proprio per questo, rendendosi più vulnerabile. Questo nel caso in cui conceda un'ultima possibilità a se stessa e all'altro alternativa al percorso giudiziario. Diversa sarà il vissuto di chi ricorre alla mediazione solo per assolvere un obbligo propedeutico ad intraprendere un contenzioso.

     La responsabilità del mediatore è grande proprio perché garante di uno spazio di interazione che ha il compito di custodire regolando la modalità di negoziazione. Il fattore vulnerabilità proprio del momento abbisogna di ascolto attivo, competenza empatica e capacità di modulazione in modo da far sentire le parti costantemente accompagnate e protette nel contesto della mediazione. Presupposto fondamentale sarà proprio il clima di interazione ove è possibile il confronto ed il reciproco scambio in modo funzionale.

    Le due parti concretamente accetteranno di aprirsi ad una via conciliativa uscendo da una logica competitiva che vede vincitori e vinti. In questo orizzonte viene ridotto il percorso che porta alla sentenza, e tale riduzione temporale ha grandi benefici per le parti e per il contesto in cui esse vivono. Ancor prima del beneficio economico pensiamo al beneficio che hanno i figli nel caso di separazione coniugali, o ancora all'enorme carico di stress e malessere procurato dai contenziosi all'interno delle famiglie a motivo di successioni ereditarie o dalle dispute condominali nel rapporto con il vicinato, o ai contenziosi nell'ambito lavorativo.
    Pertanto si arriva ad una negoziazione del conflitto, cioè si passa da una modalità di comunicare e di agire infruttuosa, ad una nuova che rende efficace la discussione tra le parti. Concretamente equivale ad uscire dalla propria posizione difensiva dove il focus è centrato sulla logica del diritto-dovere, del mio-tuo, per arrivare ad una posizione ove il munus consta in primo luogo nella relazione tra le parti, dove cioè il primato viene dato al rapporto interpersonale prima che alle cose da dirimere.

    Il mediatore viene a favorire una comunicazione più ampia e pertanto l’acquisizione di nuove informazioni e di nuovi punti di vista. Potremmo dire che le parti escono dal gioco relazionale vittima-carnefice entrando in una fase esplorativa ove il confronto fondato su di un piano adulto permette di cogliere un nuovo “utile” prima misconosciuto, quale la quiete nel contesto vitale (si pensi ai contenziosi con i vicini o con i parenti), la salute psicofisica (considerando il carico di stress imputabile ad una causa giudiziaria), o dato semplicemente dal valore intrinseco della magnanimità (la gratificazione che trae chi compie il bene),  e dalla riappropriazione di potere sulla propria vita (sovente delegato alla immagine sociale o allo status economico). Comprendiamo come lo stesso concetto di “perdita” possa essere rivisitato attraverso questo ampliamento percettivo, ove una prospettiva allargata permette di calare il problema all’interno di un contesto molto più ampio.
     Il mediatore veicola le parti, crea a partire dalla sua persona (postura, rispecchiamento, equidistanza) una base relazionale, su cui scorrono i vissuti dei due interlocutori. È un compito che richiede un investimento emotivo, una cospicua capacità di ascolto di sé e dell’altro. Il negoziatore dovrà riconoscere i suoi vissuti transferali, decifrare l’eventuale identificazione con una delle parti, dovrà mantenere un buon livello di consapevolezza per non essere agganciato durante la contrattazione da processi paralleli, cioè vissuti similari che potrebbero fargli perdere la dovuta obiettività. Il mediatore insieme alle parti abbisogna un tempo di ascolto, di ingresso nella crisi, per poter leggere e mostrare il processo in atto, per osservarlo e riflettere insieme alle parti in contenzioso. 

    La mediazione pertanto ha l’obiettivo di modulare l’interazione, accompagna e modula favorendo corrispondenza fra le parti. Il rispetto che il mediatore ha per i due interlocutori diventa un modello che man mano viene trasferito nel rapporto che le due parti hanno tra di loro.

Mauro Billetta, mediatore conciliazione.net
   

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Mediazione ai fini della conciliazione | Wi- Fi Psicologia

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