Dimmi: per chi combatti?

by Mauro 27. agosto 2017 10:13

    Una inversione di tendenza segna il Vangelo di questa giornata, non è più l'uomo a chiedere a Dio di farsi conoscere ma è Dio a chiedere all'uomo che cosa conosce di Lui.

L'umanità di tutti i tempi ha proiettato su Dio immagini e precomprensioni di ogni tipo: lo troviamo ora relegato al cielo e disinteressato, ora giudice pronto a condannare ogni piccolo sbaglio. E, ancora, su di Lui ha scagliato le responsabilità di guerre o catastrofi nel pianeta. Dio, insomma, è stato inteso come l'interlocutore da aggredire, il capro espiatorio volto a lenire l'angoscia esistenziale di molti.

Una certa cultura della post-modernità ha spento la connessione col divino dichiarando che Dio non esiste e che la comunità umana deve autonormarsi definendo, ogni giorno in modo diverso, le regole di quel che è possibile e giusto fare, lasciando la percezione del bene e del male in balia dell'opinione e della convenienza di turno.

Il nodo è che in tale architettura culturale chi detta le regole e le verità a cui fare affidamento sono i potenti del pianeta, quanti hanno interesse a spostare gli orientamenti culturali per meglio usare le coscienze dei popoli. In particolare, evidenziamo, la strategia individualista contemporanea che rende il singolo sempre più sganciato dai legami affettivi e, pertanto, sempre più solo e vulnerabile.

La domanda di Gesù è controtendenza: ma voi chi dite che io sia? Non c'è spazio per i luoghi comuni, per le opinioni deresponsabilizzanti e anonime, ma interroga su una precisa relazione a cui chiede di dare un nome.

È quel che distingue la fede dalla religione, il desiderio dal bisogno scrupoloso di sentirsi a posto trincerandosi dietro le proprie difese ideologiche.

Il contesto in cui si trova il Maestro con i discepoli è pagano, un luogo lontano dal tempio di Gerusalemme, distanza ottimale per trovare una certa obiettività e disporsi in ascolto. Sovente nello stato di distanza come, ad esempio, il buio della prova, l'umanità recupera la sua capacità di fare verità, proprio quando vengono a crollare tutti gli appoggi illusori compresi quelli religiosi.

In quella solitudine Pietro apre il cuore e risponde poggiando la propria vita nel Maestro, non è più autoreferenziale quel discepolo ma riconosce in Gesù e, quindi, nel suo rapporto con il Padre, la salvezza della propria vita.

È da lì che scaturirà la risposta di Gesù il quale lo riconoscerà come basamento su cui edificherà la sua Chiesa, la Comunità chiamata a custodire la Parola e l'esperienza di Dio. Non si tratta di un potere ma di un servizio volto a legare e sciogliere, a sanare e liberare.

Sono termini incomprensibili per l'uomo contemporaneo il quale ritiene di essere libero perché privo di legami e che rimane incapace di perdonare nutrendo l'inimicizia per sempre.

È una logica ben diversa quella del Vangelo in cui l'esercizio del potere è espressione dell'amore. Si tratta di invertire la prospettiva e di scoprire che la relazione con Dio è liberante oltreché gratuita.

Pietro non rinuncerà alla sua passione, imparerà ad esprimerla pienamente non per orgoglio o eroismo autocelebrante, ma per amore e gratitudine per il dono ricevuto. Lo incontreremo, un giorno, affrontare la morte con fermezza e lungimiranza perché ormai ha chiara la meta della sua vita.

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