L’equivoco del nostro tempo, voluto dalle lobby che gestiscono i poteri e l’economia, è che il desiderio viene equiparato all’istinto e cioè alla ricerca compulsiva di un godimento immediato e ciò struttura dipendenza e narcisismo. Il nostro tempo, infatti, oscilla tra simbiosi e autismo, delega totale all’altro come nei casi di totale passivizzazione oppure isolamento proprio di chi “usa e getta” l’altra presenza.
A tal proposito mi pare interessante soffermarci su un episodio evangelico, Mc 10, 17-30, che proprio in questa domenica viene meditato da milioni di cristiani sparsi nel mondo.
Un giovane si reca da Gesù con passione, corre verso di Lui e poi gli si prostra innanzi, per porgli una domanda. È importante nella vita porre delle questioni, la persona che manca di curiosità non va oltre, si acquieta passivamente fino a vedere scorrere la propria vita come fa uno spettatore che attende la scena teatrale.
Lui, invece, è desiderio, desidera imparare dalla Parola del Maestro. Si pone, pertanto, quale discepolo e chiede quel che è più importante nella vita: l’eternità!
Il desiderio di pienezza non è qualcosa di calcolabile, è l’impeto che porta l’essere umano verso la meta, così è l’innamoramento che aldilà del preventivabile muove verso una specifica missione di vita.
Non si tratta di istinto volto alla sopravvivenza, no questo giovane è mosso dal desiderio di pienezza perché già vive ed ha scorte in abbondanza! Coglie che solo l’incontro ed il riconoscimento dell’Altro, potrà dargli felicità. Intuisce che il sentirsi desiderato dall’Altro e cioè riconosciuto, amato e accolto, potrà rispondere alla sua sete.
Il giovane chiede in eredità la vita eterna, è interessante notare come si metta nella prospettiva di figlio che riceve in dono la “garanzia” per la propria vita. Per Israele l’eredità era anche la connotazione che indicava l’appartenenza ad una determinata tribù, il riconoscimento dei legami familiari che attraversa i secoli. Si pensi a Giuseppe che con Maria si recano a Betlemme, nella città di Davide suo antenato, per farsi censire perché è a quella stirpe che appartiene.
Lui, ora, chiede la “vita eterna”, esprime il desiderio profondo che porta nel cuore ogni essere umano: è per l’eternità che siamo fatti!
Chiamando Gesù “buono” lo sta riconoscendo al pari di Dio, coglie che la Parola che riceverà da Lui sarà risposta al suo desiderio. Gesù lo rimanda alle relazioni con le altre persone e con le cose, lo rimanda a verificare se trova già felicità nel “comportarsi bene”.
Il giovane risponde che queste cose le custodisce ma ciò nonostante non ha la vita piena, il suo desiderio di vita lo porta oltre ed è lì che, ora, incontra lo sguardo amorevole di Gesù. Poi gli fa una richiesta: “una sola cosa ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”.
Gesù gli rimanda, pertanto, che una sola è la cosa essenziale e tutto il resto viene dopo. Questa “unica cosa” è segnata dall’andare, vendere tutto e darlo ai poveri. Tre verbi dunque: andare – vendere – donare.
C’è un modo nuovo di andare verso le cose del mondo, di attraversare questa vita: anziché prendere, Gesù invita a dare! Il vendere equivale al non accumulare, allo spogliarsi di tutto quello che appesantisce ed ingombra l’anima.
La vita potrebbe essere largamente caricata da gravami ritenuti quali sostegni, garanzia o nutrimento necessario. Basti pensare, ad esempio, che tanti comfort, man mano ritenuti indispensabili, hanno portato a società sempre più obese, a stili di vita sedentaria e diffusa apatia, ad assenza di desiderio!
In questa pagina del Vangelo è in questione la fede, la fiducia in Dio. Il dialogo tra Gesù e questo giovane verte su a chi affidare la propria vita. Il giovane rivolge all’interlocutore giusto la propria domanda esistenziale, ma dopo la proposta di Gesù si fa scuro in viso e si muove rattristato. È il turbamento che scaturisce dall’incontro con la Parola di Dio.
L’incontro destabilizza, disorienta perché non è facile lasciare perdere i riferimenti di un tempo, le cose a cui si era affidata precedentemente la propria vita. Dio promette la pienezza ma è necessaria la risposta dell’uomo, per il momento il giovane volta le spalle e, perciò, si muove segnato dalla tristezza.
Ricordiamo Pietro nel Getsemani, lui coglierà che quella chiamata di Gesù, che dapprima lo aveva entusiasmato, in realtà è rivolta al “tutto” senza compromessi e, di conseguenza, ora lo invita a deporre la spada. Pietro fuggirà via, non resisterà a quella rinuncia, e fino a quando l’Ego governerà la sua vita non troverà pace. Lo troveremo, poco dopo, a rinnegare Gesù e ad incrociare il suo sguardo! È lo stesso sguardo incontrato da quel giovane, solo che Pietro scoppierà in pianto iniziando, così, il percorso di totale consegna che lo porterà al dono pieno della propria vita quando entrando nell’eternità affronterà il martirio.
Del giovane del Vangelo non sappiamo la risposta ultima, anche se gli indizi particolari sul vissuto interiore e sulla relazione stabilità con Gesù ci lasciano intuire che proprio in lui potrebbe celarsi, quel discepolo che poi si trovò ad annotare la narrazione della vita di Gesù che fu raccolta nel Vangelo di Marco.
Il desiderio di Dio, e cioè di donare tutto alla sua creatura, è la risposta ultima alla ricerca dell’uomo e a ciascuno è dato di farne esperienza, quando il proprio desiderio di vita si lascia incontrare dallo sguardo di Dio. Ma questa è una questione di fede, a chi si affida la propria vita?