Bianca come il latte rossa come il sangue. Giffoni Film Festival/2

by Mauro 24. luglio 2013 18:30

  Continua la rassegna cinematografica del Giffoni Film Festival, stamane ci è stato proposto il film Bianca come il latte rossa come il sangue. Una produzione italiana di grande pregio in cui il regista, Campiotti, ha raccontato la vita di quattro adolescenti dal di dentro, cioè stando all’interno del gruppo, della scuola, della loro famiglia.
         Una scelta registica che offre un valido modello educativo di come, cioè, il mondo adulto debba porsi di fronte a quello dei giovani. Il protagonista è un sedicenne, Leo, innamorato di una ragazza un anno più grande di lui. La giovane Beatrice è affetta da leucemia ma la malattia non arresta lo slancio di Leo che cerca in tutti i modi di restituire alla giovane la speranza ed il sorriso per la vita. Lei invece gli insegnerà a riconoscere le persone che gli stanno attorno ed in particolare Silvia, la compagna di classe che per lungo tempo si è presa cura di Leo essendone oltre che amica anche innamorata.
          Un intreccio di amori e di contatto vero con la vita che al suo interno, ed è questa la maestria di Giacomo Campiotti, mostra la sensibilità e la tenacia propria del mondo adolescenziale. In questa trama si inserisce il giovane insegnante di lettere. Lui intuisce il travaglio esistenziale del protagonista ed il vissuto di quanti gli stanno attorno, ed entra in dialogo aperto accettando la sfida educativa che lo mette in gioco, accettando di essere destabilizzato e reimpostare il suo ruolo di educatore.
          Davvero tanti sono gli spunti che scaturiscono da questa interpretazione, voglio però cogliere la proposta pedagogica offerta dal Campiotti.
           È possibile pensare ad un intervento educativo rivolto agli adolescenti nella misura in cui lo si pensa con gli adolescenti!
           Si tratta di stimolare processi circolari in cui il gruppo può interagire al suo interno cercando di interpretare ed elaborare ciò che accade ad ogni suo membro. Differentemente l’intervento si ridurrebbe ad una incontro frontale in cui all’adolescente è proposto di “bere” passivamente informazioni e consigli utili sul modo di affrontare la vita. Bene inteso che tutto ciò andrebbe a discapito della interiorizzazione ed integrazione culturale della persona.
           L’educatore dovrà tenere conto del vissuto profondo dell’interlocutore, la sua sofferenza esistenziale e non tanto del sintomo proposto. Secondo questa linea gli interventi di prevenzione nelle scuole ad esempio quelli che realizziamo con gli operatori del SeRT, non consistono nel dare ragguagli informativi sulle droghe e sulle conseguenze dell’assunzione di esse, questo avrebbe l’effetto di una campagna pubblicitaria o, comunque, di attivare la ricerca in merito a questi strani effetti sulla psiche umana. Piuttosto si va a cercare i carichi esistenziali propri di un adolescente, attraverso laboratori si favorisce l’espressione del vissuto e la condivisione all’interno del gruppo per poi elaborare, insieme a loro, strategie di risposta ai reali bisogni. Noto, a riguardo, come soffermarsi sul sintomo è davvero ingannevole considerato che un adolescente utilizza la teatralità per stare al centro dell’attenzione avvalendosi “almeno” di un sintomo. Proprio quella ricerca di centralità è da osservare, in essa sta racchiusa una domanda esistenziale ed una implicita richiesta di aiuto.  
           Accenno ad un ulteriore aspetto che certo merita approfondimento in un prossimo post. E cioè la dimensione del tempo, come i giovanissimi vivono il rapporto con la temporalità, mi sembra un aspetto particolarmente interessante.    Già il film proposto ieri, Noi siamo infinito, ci apriva ad un interrogativo interessante: Ma è proprio vero che gli adolescenti si ancorano ad un “eterno presente” privandosi di una esperienza diacronica che li proietti nel futuro?
           È luogo comune, nel campo psicologico, ritenere che la mancanza di narrazione sia indice di poco contatto con la propria storia, mi chiedo se il nostro metodo di indagine non debba ipotizzare la presenza di un nuovo lessico narrativo proprio del mondo giovanile. Non è che, piuttosto, abbisogniamo di nuove categorie narrative? La musica così come il cinema non sono forse modi nuovi di scandire il tempo?
           Ascoltando i Beatles o Guccini mi capita di tornare ad altri tempi così come allora ascoltandoli mi proiettavo nel tempo…

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