Apparire o esserci

by Mauro 25. novembre 2018 08:16

    La testimonianza di vita non è frutto di una dimostrazione, non emerge dal dovere giustificare quel che si è ma è l'espressione epifanica di un'esistenza, di un modo di stare nelle questioni quotidiane, una postura che orienta il cammino di una persona.

Non si tratta di convincere i propri interlocutori, dunque, ma di rivelare quel che si è anche se questo tradisce l'aspettativa altrui.

    In genere assistiamo, piuttosto, a scene di ordinaria affermazione attraverso l'aggressione verbale, l'esibizione della propria immagine e del potere legato ad essa. Palcoscenici di prepotenze che vorrebbero soggiogare il prossimo o isolarlo perchè magari ha un pensiero differente o una storia diversa dalla propria.

Quel che è recentemente accaduto a Domenico Lucano sindaco di Riace, o il dramma della scorsa notte quando la Libia complice di altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo ignorava il grido di aiuto lanciato dagli immigrati di un'imbarcazione che rischiava di affondare, o ancora il silente scandalo dei mezra, prigioni nel territorio libico gestite dai boss della tratta umana.

Di fronte all'assordante spinta volta all'indifferenza c'è un mondo che reagisce custodendo il Bene, quello vero e che, pertanto, non ha bisogno di essere ostentato.   

A riguardo la solennità di Cristo Re che celebriamo in questa domenica permette di soffermarci sulla dignità che ciascuno porta e sulla custodia di essa. Nella pagina evangelica (Gv 18, 33-37) troviamo Pilato di fronte a Gesù nel mentre che gli pone delle domande investigative come a chiedere dimostrazione del titolo di cui viene accusato. Sì, perchè secondo la logica di questo mondo la regalità è assunzione di potere che porta alla competizione o all'assoggettamento. Diversamente secondo la prospettiva che, man mano, Gesù rivela la regalità è frutto del servizio che porta alla comunione e alla elevazione di ciascuno.

Sono prospettive diametralmente opposte e nel mentre che la prima cerca di soffocare la seconda per avere un vincente, la prospettiva di Gesù emerge dal dono di sé e dal consumarsi per amore.

Il potere assunto da Pilato e da tutti i “potenti” della storia non ammette spazio per la tenerezza perchè, questa, rimanderebbe alla reciproca vulnerabilità. Gesù si fa vicino ma il potente si distanzia. La testimonianza del Maestro racconta un modo ben differente di andare verso la meta della vita e Pilato è come disorientato perchè la sua meta è il potere ed il salvaguardare la sua immagine davanti all'imperatore Tiberio Cesare Augusto che lo aveva preposto governatore.

Gesù introduce il potere della misericordia e tocca il cuore dell'interlocutore. Ciò di per sé non dovrebbe provocare difese ma Pilato è su un piano difensivo in quanto ha paura, timore di mettere in discussione tutto il sistema su cui si regge la propria esistenza!

Gesù entrà nella storia con un fare dimesso e lì è riconosciuta la sua regalità: “Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei?” (Mt 2, 2). Allo stesso modo esce dalla storia ancora più dimesso e lì viene riconosciuta la sua regalità: “Veramente costui era Figlio di Dio” (Mt 27, 54).

Gesù dirà a Pilato che il suo regno “non è da questo mondo”, viene da un'altra parte è generato dal Padre ed è lì che tornerà. La pretesa umana non ha potere sul regno di Dio, solo Lui rimane perseverante nell'offrirlo alla creatura.

La promessa primigenia di potere diventare come Dio, aveva distorto la verità che l'uomo aveva su se stesso. Quel peccato aveva spento la luce interiore, frutto del dono di Dio, della relazione con il Creatore. È da quel momento che l'essere umano ha creduto di potere riconquistare quella luce come se dipendesse da una fonte esterna da cui attingere.

Il risultato di questo tentativo è la luce di superficie che quando si spegne lascia solo bruttura. È da lì che scaturisce la corsa spasmodica all'apparire senza riserve, alla cosmesi che promette bellezza di lunga vita. L'individuo comincia ad idealizzarsi e tale delirio onnipotente scade nella conquista dell'altro, ossia piegarlo a sé per sentirsi “grandi”!

Oggi ci viene ricordata una logica ben differente, la piccolezza che nulla può vantare si sorprende ad accogliere il dono gratuito di Dio, il suo amore che illumina interiormente tutti i “piccoli” di questo mondo.

 

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