Amare è altra cosa

by Mauro 25. ottobre 2020 18:38

  Abbiamo fatto dell'amore una esperienza anonima, lo abbiamo spogliato della relazione deputandolo ad una mera conoscenza epidermica fatta di compiacenza e piacevolezza,  appagamento ed appropriazione.

E se scoprissimo che l'amore ci lascia sempre affamati? Che ci spinge a guardare oltre le visioni personali? Che ci fa attraversare il dolore perchè è più forte della prova? Che l'amore è umile e sopporta pure le offese ricevute, senza cercare ragioni per difendersi?

Fino a quando l'individuo rimarrà trincerato nelle proprie paure difensive, frutto di una percezione vittimistica della propria storia, non sarà capace di aprirsi all'amore ed il quotidiano continuerà ad essere un assiduo impegno per tutelarsi e, casomai, rivendicare i propri diritti e così affermare il proprio potere.

Come uscire da questo tunnel che fa dell'esistenza umana un viaggio verso la morte? Non ho trovato altra risposta se non quella di lasciarsi visitare dall'Amore pasquale!

È l'incontro che ebbe Pietro quando scoprì che il Maestro non l'aveva abbandonato, sebbene lui lo avesse tradito, ed era rimasto a parlargli da amico dopo essere passato per la morte in croce. Si fa esperienza dell'amore, quello vero, quando finalmente ci si arrende riconoscendo la propria vulnerabilità senza rivendicazione ma chiedendo aiuto. L'essere umano che ammette di non essere come Dio, si apre alla possibilità di accogliere la Luce che fa nuove tutte le cose.

Abbiamo da poco celebrato la memoria liturgica di don Giuseppe Puglisi e ricordiamo come il sicario, Salvatore Grigoli, uomo truce che annoverava più di quaranta omicidi si è lasciato sconvolgere da quel sorriso accogliente di don Pino, il quale era rimasto rivolto verso la meta malgrado si aspettasse una vendetta mafiosa, e da lì è iniziato un cammino di conversione che gli ha rivelato un nuovo senso della vita.

A noi umani, dunque, è dato di ravverderci e così scoprire che la meta sta da un'altra parte e la si scopre quando ci si apre con fiducia al Cielo. A Gesù un giorno fu chiesto quale fosse il comandamento più grande e cioè quale fosse la regola da seguire per arrivare dritti alla meta (Mt 22, 34-40).

Erano farisei e sadducei ad interrogarlo per metterlo alla prova. Una tentazione volta a fare cadere il Maestro perchè loro pensavano di avere il controllo della via che, secondo le loro certezze, li avrebbe portati alla meta eterna.

Questo è ciò che succede quando si pensa alla vita come ad una conquista, ad un'immagine da dimostrare per affermare la propria grandezza. Gesù sposta il piano della discussione: il comandamento non è un compito da assolvere per dimostarsi bravi, piuttosto è ascolto di Dio che si china sulla vita della creatura per colmarla dell'amore.

Amare Dio con tutto il proprio essere equivale a riconoscersi profondamente amati da Lui. È il volto del Padre che Gesù rivelerà, paziente e ricco di misericordia perchè tutto vuole donare all'umana specie. I farisei reagiscono perchè ciò viene a destabilizzare ogni logica di potere e prevaricazione, rende impotenti dinanzi al prossimo, anzi custodi della sua vita perchè fratello!

È pertanto che in modo del tutto inedito Gesù accosterà l'amore verso Dio all'amore verso se stessi ed il prossimo. Un rapporto caratterizzato dalla stessa linfa: se è autentico l'uno sarà veritiero pure l'altro.

Gesù reagisce alla scissione propria di ogni tempo che vorrebbe relegare l'ambito religioso ad alcuni aspetti della propria vita senza cogliere che mancando la realizzazione nelle relazioni quotidiane l'esperienza di fede sarebbe nulla.

Se papa Francesco torna a parlare alla Chiesa con l'enciclica “Fratelli tutti” è perchè pare che il nostro tempo abbia smarrito il senso di fraternità e di responsabilità reciproca. In realtà l'incapacità ad amare “come se stessi” denuncia una ulteriore fragilità che è propria dei nostri giorni. Le persone non amano la propria vita, non si amano perchè seguono una cultura espropriante che tende a focalizzare l'immagine di un altro che sarà sempre migliore della propria o, ancora, a legare la percezione di sé a quel che si possiede.

La mortificazione che vive l'uomo contemporaneo è proprio questa, dà a se stesso un prezzo ora legato ai successi finanziari, all'apparenza che può esibire, all'appagamento che può trarre dai rapporti sociali. E se invece bastasse arrendersi, alzare lo sguardo per lasciarsi amare e poi ripartire?

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