Psicoterapia e processi di trasformazione: la SSPIG fa Cultura

by Mauro 15. dicembre 2012 19:39

        Il primo gruppo di psicoterapeuti della Scuola palermitana SSPIG conclude oggi la formazione quadriennale. È un evento significativo per la nostra Città così come per tutta la Regione siciliana che ha da pochi anni  accolto, nel centro storico di Ballarò, l’officina maieutica e relazionale (così definirei la bottega ove si impara l’arte della psicoterapia) di Analisi Transazionale.
         Attraverso la cultura passano i processi di cambiamento e di trasformazione sociale e l’essere umano è portatore di “cultura” nella misura in cui può riconoscersi e rispecchiarsi nell’appartenenza ad un gruppo. Ora se da un lato la cultura è da intendersi quale attività per coltivare l’animo umano e l’orientamento che porta, dall’altro è da intendersi come insieme dei costumi, credenze, ideali proprie dell’uomo in quanto membro di una società, non solo.
         Le teorie psicoterapiche, a mio avviso, esercitano un particolare influsso nel sostenere i processi culturali, e l’Analisi Transazionale assume una significativa rilevanza nel contribuire a questa opera di crescita e di maturazione individuale e collettiva.      
          Come ho già descritto in diversi post precedenti, è un approccio umanistico che, pertanto, vede l’esistenza di ogni persona quale dono gratuito e dono da esprimere. L’uomo è visto capace di realizzazione, di progettazione per giungere ad una meta esistenziale, bisognoso di relazione così come di conoscere ed esprimersi, di dare significato alle cose e agli accadimenti della vita.
          Equivale a vedere la persona permettendole di mostrarsi, di rivelare se stessa anche se questa auto-rivelazione passa attraverso lo spettro del dolore o l’integrazione di un vissuto fino ad allora misconosciuto. Non si tratta di fare diagnosi (dia-gnosis, "conoscere attraverso") secondo schemi pre-determinati, ma di restituire all’umano la dignità dell’esserci nel “qui e ora” terapeutico, attraverso la relazione che man mano si va costruendo tra le persone coinvolte.

            L’approccio umanistico prende avvio da Carl Rogers che con il testo “La terapia centrata sul cliente”, nel 1951,  ebbe ad affermare che  la malattia mentale nelle sue varie forme è da rintracciare nelle distorsione dello sforzo che l’individuo compie per esprimere le sue potenzialità. La Psicologia umanistica viene pertanto ad essere designata come la “Terza forza” della psicologia che si pone accanto alla psicoanalisi classica e al comportamentismo positivistico.
            L’Analisi Transazionale si pone in questo alveo, fondata da Eric Berne (1910 - 1970), è una teoria psicologica e sociale, caratterizzata da un contratto bilaterale di crescita e cambiamento. Come sistema di psicoterapia l'Analisi Transazionale viene utilizzata nel trattamento di disturbi psicologici di ogni tipo, essendo un metodo di psicoterapia individuale, di coppia, di gruppo e familiare.
             La teoria della personalità elaborata da Berne rileva l’importanza delle primissime esperienze nello sviluppo della persona e di come esse lascino delle tracce mnestiche nel tempo. Ad esempio, secondo l’autore, le transazioni con le figure di accudimento già durante l’allattamento vengono a dare le fondamenta ai giochi successivi e ad influenzare le decisioni di copione.
             La qualità della relazione d’attaccamento incide sullo sviluppo della persona ma questa prospettiva non è da intendersi in senso deterministico. Il modello analitico transazionale si pone come una psicoterapia sistematica ai fini della crescita e del cambiamento in cui la persona è colta come protagonista della sua esistenza e, di conseguenza, non può essere costretta a comportarsi in un determinato modo come se subisse l’interazione con l’ambiente circostante. Con l’assunto OKness, cioè Ognuno è OK, l’AT  mostra un’accettazione incondizionata verso ogni persona. L’essenza della persona, intrinsecamente OK, viene distinta dal comportamento che in taluni casi può rivelarsi disadattivo.
              Berne parla di due tipi di obiettivi terapeutici: il miglioramento e la cura. Con il primo intende un intervento che permette di stare meglio, con il secondo che è proprio dell’AT, invece si propone di riattivare lo sviluppo interrotto come nel caso di decisioni copionali che hanno mantenuto posizioni esistenziali svalutanti .
              Di fatto la “guarigione” comporta un uscire dal copione disfunzionale attraverso scelte volte al proprio benessere. Esplicitiamo questo costrutto per dare idea della portata dell’impianto teorico.
              La teoria del copione si è notevolmente evoluta rispetto alla prima metà del secolo scorso quando Eric Berne, in  Analisi Transazionale e Psicoterapia, (1961, 101) lo definì quale derivato del transfert cioè come un adattamento di reazioni ed esperienze infantili. Intendendo, cioè,  il tentativo di ripetere in forma derivata un intero dramma transferenziale, spesso suddiviso in atti, esattamente come i copioni teatrali, che sono dei prodotti artistici intuitivi dei drammi primitivi dell'infanzia.   Successivamente Berne parlò del copione definendolo come un piano di vita che si basa su una decisione presa durante l’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli avvenimenti successivi, e che culmina in una scelta decisiva (Berne, 2011). 

               Il “piano di vita” è secondo l’autore un programma che il bambino costruisce per sé e che lo orienterà nel’affrontare il futuro. Tale piano ha un inizio, un punto di mezzo ed una conclusione, come un dramma di teatro.

               Il copione è decisionale e cioè “culmina in una scelta decisiva”, ciò comporta che il bambino, sulla base di questo piano di vita, prenderà delle decisioni che riguardano sé, gli altri ed il contesto; decisioni che lo orienteranno nel suo percorso di crescita. Secondo questa definizione, quando da adulto l’individuo mette in scena il proprio copione, si comporta più o meno consapevolmente  in modo da rivivere emozioni antiche ed intense. Un bambino decide, pertanto, quale sarà il suo copione di vita al di fuori della consapevolezza, e ciò per trovare la migliore strategia di sopravvivenza di fronte all’ambiente circostante. 

              Tale piano specifico è alimentato e rinforzato dai comportamenti verbali e non verbali dei genitori, i quali influenzano il copione del figlio attraverso messaggi ingiuntivi e controingiuntivi. Pertanto fino a quando il copione consente di far fronte ai compiti evolutivi dell’età adulta, l’individuo mantiene un equilibrio psichico che lo fa vivere serenamente; quando invece le strategie consolidate non sono più rispondenti ai bisogni della nuova fase di vita, nasce il disagio psichico e nei casi più gravi si può arrivare alla psicopatologia, per cui occorre un cambiamento definito “ridecisione”.

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