Mai senza meta

by Mauro 8. settembre 2019 10:23

        L'esistenza personale abbisogna di una meta senza la quale il cammino umano potrebbe ridursi ad un vorticoso giro a vuoto, cioè alla ricerca di un posto o di un appagamento capace di dare pienezza ai propri giorni.

          È illusione quella di potere mettere tutto a posto così come quella di costruirsi un rifugio sicuro, anche se in molti, ai nostri giorni, hanno continuato ad inseguire la chimera del “posto fisso”!

         Sebbene tutti siamo capaci di desiderio e di generare sogni, quando viene meno la meta tutto viene assorbito dal bisogno immediato da soddisfare, senza un oltre residuo.

         La vita, dunque, schiacciata in un eterno presente viene derubata dello sguardo futuro. È la povertà educativa del nostro tempo in cui il display di uno smartphone prende il posto di chi dovrebbe aprire alla prospettiva del domani. Senza relazione non c'è senso del tempo e la ricerca viene così indirizzata a nutrire bisogni sempre più compulsivi e, per questo, volti alla dipendenza.

L'individuo che delega alla materia la funzione della quiete per trovare pace e pienezza, finirà con lo sfruttare il creato e farne oggetto di possesso impoverendolo della sua originale bellezza.

È ben altra l'esperienza che fanno i bambini quando vengono nella fattoria parrocchiale di Danisinni e scoprono una capretta appena nata, come è successo ieri. Loro si entusiasmano in modo inedito e sovente lasciano perdere gli schermi a cui sono noiosamente abituati per avventurarsi in giro alla scoperta dei “messaggi” provenienti dalla fattoria. È così che dal contatto con la natura si torna alla spontaneità e l'interazione col mondo circostante diventa preziosa fonte di apprendimento.

Proprio la pagina del Vangelo (Lc 14, 25-33) di questa domenica è un invito a mettersi in gioco ossia a divenire protagonisti e a non rimanere spettatori della propria vita. Quanti seguono Gesù potrebbero limitarsi a stare dietro la sua statura ma senza compromettersi e cioè rimanendo legati a sicurezze con cui vorrebbero garantire la propria esistenza.

Divenire discepoli è ben altra cosa, il Maestro aveva già comunicato ai suoi che non avrebbe avuto un posto dove riporre il capo ma solo la fiducia nel Padre. Il cammino cristiano è possibile solo quando si ha la capacità di sbilanciarsi fino a poggiare su un Altro e, quindi, cessare di costruire la propria esistenza in modo autoreferenziale. C'è una precarietà che porta a scoprire Dio, diversamente da chi calcola per conquistare la vita.

Mentre l'uomo religioso vorrebbe trasformare il quotidiano attraverso un continuo affanno e preoccupazione, l'uomo di fede fa della propria debolezza l'occasione per accogliere l'azione gratuita di Dio. L'amore si muove su questo registro relazionale ed è ben diverso dal rimanere ancorati a rapporti schiavizzanti.

Gesù precisa che l'amore prioritario per Dio dà verità a tutti gli altri amori, anche a quello per i propri cari. Altrimenti l'esistenza sarebbe guidata da un ginepraio di colpevolizzazioni e idelizzazioni per i propri genitori o per chi ci ha fatto del bene.

È libero chi segue Dio e, di conseguenza, vive il dono gratuito. Il successo, in quel caso, diventa relazione grata rivolta al Cielo, così come le sconfitte diventano motivo di affidamento allo stesso Cielo per trovare consolazione e approfondimento dell'amore.    

L'esistenza non è fatta per la solitudine e ciascuno è chiamato a camminare lasciandosi sostenere lungo il tragitto. Il discepolo, dunque, si muove su una zona di confine in cui l'esperienza di Dio è sempre scoperta nuova, approfondimento che porta oltre facendo cadere gli schemi di prima o, ancora di più, i programmi preconfezionati.

L'essere umano centrato sul ruolo performativo, potrà pure ottenere successo ma sarà sempre più solo. Ridurre l'esistenza a mera competizione procurerà inimicizia strappando il sapore del vivere.

Gesù, dunque, mette in discussione il registro affettivo del legame con i propri cari e quello performativo della percezione di sé in base ai risultati raggiunti. In entrambi i casi, quando Dio non è al primo posto, l'individuo si intossica perdendo la luce spirituale e la capacità di discernimento.

È l'uomo emotivo che non riesce a costruire nuova famiglia perchè incatenato a quella d'origine, incapace di staccarsi perchè timoroso di perdere il nido infantile. O, ancora, l'uomo che consegna la propria vita alla dimostrazione di quel che è capace fare.

Ogni discepolo si scoprirà generato dall'amore e, pertanto, capace di rimanere nel legame anche se faticoso. Sarà capace di dono gratuito e di perdono nonostante tutto, sarà rivolto alla meta e, dunque, si sottrarrà da tutte le aggressioni che vorrebbero avere il potere di arrestare il cammino. 

 

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