Generazione al bivio: la cucina ci salverà!

by Mauro 11. agosto 2017 15:14

    La cultura di un popolo inizi a conoscerla assaporando e condividendo le pietanze locali. Il gusto e gli odori danno esperienza sensoriale di una popolazione lasciandone trapelare le radici. Da lì poi si passa a coglierne i luoghi, le abitazioni, l'organizzazione degli spazi, la cura dell'ambiente, i colori e le immagini con cui si decora l'intero contesto, il ritmo di vita.

Certo nell'ultimo cinquantennio abbiamo assistito ad un sempre maggiore spopolamento delle campagne a seguito di una crescita esponenziale del processo di urbanizzazione e tutto questo ha comportato un cambiamento di stile, perfino nelle abitudini alimentari. Comprendiamo bene come la cucina esprima un punto d'osservazione che rimanda a tutti gli ambiti della vita di una persona e in particolare al pensiero soggiacente.

Quando vent'anni fa mi recai per la prima volta a New York mi colpì il fatto che la tv del Bronx come pure quella di Manhattan fosse dominata da film d'azione centrati su una costante violenza in cui non emergeva il buono o il cattivo ma il vincitore e il perdente. Quel criterio di valutazione, mi rendo conto oggi, è quello che emerge  in tutto il mondo globalizzato: non più un criterio morale a regolare la qualità di vita delle popolazioni, ma un criterio di potere!

Constatiamo, infatti, come la spinta alla solidarietà libertaria di cui parlava il '68 ha prodotto un sistema funzionale al potere capitalistico in cui l'individuo ha valore, e quindi può dirsi felice, solo se possiede ricchezze che gli garantiscano sempre maggiori beni di consumo.

Marcuse durante il movimento sessantottino ebbe ad affermare che la protesta giovanile avrebbe avuto continuità perché “necessità biologica” ma il noto filosofo non aveva tenuto conto che l'apparente soddisfacimento del desiderio attraverso l'abolizione (direi negazione) di ogni traccia di memoria e legame con la tradizione e l'etica che la reggeva, avrebbe gradualmente schiacciato la persona sul piano dell'eterno presente, luogo di idealizzazione e di costante appagamento.

Ora parlare di “necessità biologica”, a mio avviso, appare una prospettiva interessante ma nel senso relazionale e cioè di apertura al volto dell'altro, a quel reciproco riconoscimento che fa della vita un conoscere e gustare, una sapienza densa di sapore e di quotidiana scoperta in cui è l'esserci con l'altro, a dare senso alle esperienze.

Il modello capitalistico in cui siamo immersi chiaramente ride di questa puntualizzazione perché reinterpreta i concetti di relazione e legame, così come quelli di vicinanza o di riconoscimento.

È così che abbiamo imparato a sentirci vicini a persone che pigiano sulle reactions di un nostro post ove le emoji animate esprimono un nuovo modo di raccontare le emozioni fino a rinunciare, così è già per milioni di individui, ad incontrare lo sguardo vis a vis di un'altra persona ritenendo più comodo farlo attraverso un monitor. È per questo che il “non mi piace” è stato rigorosamente evitato dai manager americani al fine di mantenere la idealità della piattaforma web ove, diversamente, il conflitto potrebbe portare dati di realtà sconvenienti per ovvi motivi.

Quello di prossimità, riconosciamo, è divenuto un concetto astratto: è vicino chi è con me commesso più di chi ho accanto a tavola, a lavoro o nel tram!

Osservavo, l'altro giorno, una signora rispondere dopo lo squillo dello smartphone durante la celebrazione della Messa, fino a portarsi fuori dalla chiesa per continuare la conversazione con l'interlocutore telefonico. Pensare che la liturgia eucaristica, per chi si professa cristiano, esprime un momento di grande vicinanza con Dio e con l'assemblea che si ha attorno per l'esperienza di unico Corpo che essa rappresenta. Quel luogo di estrema prossimità è depauperato del suo significato cedendo il posto a un altro spazio a cui compulsivamente si sente il bisogno di non porre limite.

È quel che accade quando si è alla guida ed istintivamente si prova a leggere il messaggio appena ricevuto o quando si preferisce rimanere in casa, connessi, piuttosto che ritrovarsi in piazza per incontrare amici.

La nostra generazione è al bivio, ciascuno faccia come creda, nel mentre vado a gustare una buona paella di Valencia accompagnata da un'ottima sangria de Cava. Tornando a Marcuse ritengo che il pensiero creativo a cui faceva riferimento, capace di ingenerare germi di cambiamento nelle società, possa trovare nella condivisione della mensa un ottimo spazio di produzione...

 

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