Incontrare per lasciarsi incontrare

by Mauro 1. luglio 2012 18:32

  

     A poche ore dalla finale europea di calcio, derby tutto latino, mi sorprende pensare a quanta intesa procuri una partita ove tutti noi recuperiamo il senso patriottico che ci permette di superare preconcetti o comunque ogni sorta di distanza. Le persone si ritrovano a condividere passione per lo sport, il brivido della vittoria o del parare un calcio di rigore. Emozioni intense che danno il sapore della relazione umana, esperienza fondamentale per stare appieno nel gioco della vita.

    Eppure quasi inermi si assiste ad una sempre maggiore depersonalizzazione nel ritmo delle nostre vite, come se questi momenti di condivisione e di incontro spontaneo fossero cosa rara, da assecondare in taluni momenti come per uscire dalla realtà che sembra fluire in modo prepontemente diverso.

    L'incontro tra gli umani è cosa profonda e richiede un ascolto che va oltre alla occasione del momento, il tempo di una sera, è uno stile di vita che abbisogna di quotidianità.

     Nella lettura del Vangelo sovente si incontra il verbo greco therapeúein, che significa «curare», ed è usato per esprimere l’atto di servire ed onorare una persona, interessarsi della sua vita. Proprio nell’incontro “terapeutico” Gesù maieuticamente fa esprimere il bisogno profondo, l’unicità ed il progetto di vita della persona.  Si muove verso la gente facendo spazio, accogliendo, disponendosi all’ascolto. È per questo che potrà cogliere la fame della folla che gli sta innanzi, così come l’essere toccato da una donna che gli si avvicina e tocca il lembo del suo mantello. È un accostarsi singolare quello che ci descrive il Vangelo di questa domenica (Mc 5, 21-43), molti si stringono a Gesù, tanta gente si accalca su di Lui eppure solo una donna lo tocca.
    Una donna identificata per la sua malattia, emorroissa, continue perdite di sangue che indicavano il suo perdere gradualmente la forza della vita. È ferita nella sua identità femminile, sperimenta tutta la sua debolezza. Arriva di nascosto, alle spalle, come a mostrare tutta la sua vergogna per l’essere fragile, forse il senso di colpa per il vissuto che porta, così è di molto che incomprensibilmente pensano di “essere cattivi” a motivo della loro malattia. Non vuole farsi vedere, si avvicina sommessamente, alle spalle di Gesù, eppure ha un’intuizione, sa di dovere toccare il lembo del suo mantello. Proprio nelle frange del mantello venivano intrecciati dei nodi come a ricordare dell’Alleanza, della relazione con Dio e quindi della propria dignità. Così come i nodi del cingolo che oggi portano i religiosi. Sa che ha bisogno di poggiarsi su quel nodo, su quella relazione, è l’atto di fiducia in Dio, nella sua paternità.
     Accade qualcosa di straordinario, Gesù chiede chi è colui che lo ha toccato. Sembra inaudito per gli astanti proprio perché c’è una folla che si accalca su Gesù eppure Lui chiede che venga fuori l’unico che lo ha toccato, che ha mostrato di poggiare in Lui. Interessante notare come Gesù chieda ai suoi interlocutori di venir fuori dall’anonimato, è il processo di individuazione ed espressione della propria originalità a segnare la relazione nel cristianesimo.
    Gesù non guarda la persona secondo la sua malattia, cercando etichette diagnostiche da addossare, non ha vestiti su misura, ma chiede di potere entrare in relazione con la persona che ha di fronte. Interessante notare come favorisce l’espressione dell’interlocutore attraverso delle domande. Nella vita abbiamo bisogno di imparare l’arte del domandare, sovente nutriamo risposte pronte e in realtà dovremmo imparare a porgere domande capaci di fare esprimere l’altro, capaci di accogliere la vita altrui.
    C’è uno scambio in questo incontro, Gesù è trasportato a com-passione, letteralmente “fa spazio nelle sue viscere”, è l’atteggiamento che traduce il fare misericordia. Accoglie l’altro e cede qualcosa di sé, restituendo responsabilità e riconoscimento: “la tua fede ti ha salvato”. È la tua capacità di stare nella vita a tirarti fuori dall’esperienza di male, eppure l’incontro con l’altro è decisivo. È proprio di noi essere umani avere bisogno di un rispecchiamento, di un altro su cui specchiarci per ritrovare se stessi. È l’esperienza del rapporto coniugale, quella dell’amicizia, dell’accompagnamento spirituale e di quello terapeutico, è proprio di ogni relazione in cui ciascuno si prender cura della fame di incontro con l’altro.
   Ultimo particolare, la donna emorroissa aveva sentito parlare di Gesù. È il senso dell’annunzio, dell’essere strumenti, ponti e non luoghi di arrivo. Torna ridondante, in questi giorni in cui ci prepariamo all’esperienza della Missione ESTATE CON TERMINI, l’importanza dell’interessarsi all’altro, fino a poco prima sconosciuto, portando una lieta notizia.

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