Cercatori, di cosa?

by Mauro 1. maggio 2016 14:32

       Ancora oggi l’umanità sta alla ricerca di senso e, seppur ammalata di sensazioni e ridotta a vivere alla periferia di se stessa, cerca il “posto” dove trovare Dio, il luogo in cui finalmente trovare pace.

       Ed è così che i centri benessere o le pratiche yoga vengono scambiati per un surrogato di Dio. Seppure il desiderio sia da considerarsi autentico, ritengo che si stia sbagliando direzione e che si rischi di imbrigliare il sentire umano in un sensazionalismo che, alla fine, si riduce ad un appiattimento della passione di vita. Intendiamo, chiaramente, la passione che nasce dal desiderio profondo e che alimenta un progetto di vita, un ideale da perseguire o una relazione significativa. Ben diverso dalle passioni del nostro tempo che conducono alla frammentazione esistenziale e alle diverse dipendenze come il gioco d’azzardo, il sesso, le sostanze o l’acquisto di sempre nuovi prodotti.

      Il cristianesimo non è quietismo, la pace cristiana si contrappone all’atarassia, la relazione col Dio rivelato da Gesù Cristo non è mera immersione spersonalizzante nel divino ma rapporto personale con un Tu che al contempo provoca e rispetta la vita dell’interlocutore.

      Cristianesimo non è neanche mera osservanza di regole, ed è per questo che nella prima lettura di oggi (At 15, 1ss) ascoltiamo Paolo che si confronta con chi contesta il fare cristiano perché libero dalle pratiche rituali proprie dell’ebraismo. Paolo chiarisce che la fede cristiana è frutto di un’esperienza di misericordia e cioè di una relazione d’amore. È così che l’annuncio evangelico attraverso i secoli viene attaccato da forme di integralismo che vorrebbero ridurre il cristianesimo ad una pratica comportamentale rispondente a norme preconfezionate. Ciò equivarrebbe a tradire la verità cristiana, cioè, il significato autentico dell’Incarnazione volta a rendere l’uomo libero di fronte a Dio e non dipendente dalle pratiche religiose. 

       È con queste premesse che ci addentriamo nella pagina del Vangelo (Gv 14, 23 – 29) di questa domenica, VI di Pasqua.

      Gesù dice ai suoi discepoli che va a preparare un posto ma ciò non significa che il posto è fuori di loro!  Il cristiano diventa tempio del Dio vivente. Fino a quando Gesù era visibile di fronte ai discepoli essi stentavano ad accoglierlo dentro di loro: è solo dopo la Pasqua, e quindi il dono della sua vita attraverso la morte, che loro capiscono aprendo il cuore all’ascolto. Lui si sottrae alla loro vista ma rimane nella Parola continuando a farsi presente in chi ascolta.

       È così che inizia un tempo nuovo, quello della chiesa, ove l’ascolto diventa la via d’accesso per concepire Dio cioè per aprirsi alla comprensione di ogni cosa. Comprendiamo, così, le parole di Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. … Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

      Non si tratta di attendere segni straordinari o cercare chissà dove la strada, ma di entrare nel significato del Vangelo supportati dalla grazia dello Spirito. Altrimenti la lettura sarebbe autoreferenziale e soggetta ad interpretazioni arbitrarie in base alle proprie opinioni. Piuttosto lo spirito Santo “ricorda ogni cosa” e cioè la relazione rimane viva.

       Il “ricordare” esplicita il tenere dentro il legame con l’altro, la mente porta il ricordo al cuore nel senso del sentire vivo l’effetto della relazione. È quella gioia profonda che si sperimenta quando ci si sente amati autenticamente ed è questo l’effetto della relazione con Dio: Lui dona totalmente se stesso perché ci considera figli.

       Gesù vive fino in fondo la sua missione d’amore perché in stretta relazione con il Padre ed il desiderio dell’uno è desiderio dell’altro: condividere la propria vita con l’umanità intera. Il frutto di questa riscoperta è la gioia e la pace, il sentire in profondità questo legame genera gioia e pace.

       Ciò comporta, per il cristiano, l’aprirsi alla sua missione esistenziale, essere lievito per questo mondo. L’esperienza cristiana è contraddizione per la mentalità del nostro tempo, basti pensare quanto antievangelica sia la prospettiva di una politica a servizio dell’economia e non dell’uomo.

       Diversamente dalla pax romana, in cui la pace era frutto di una tregua tra due guerre a motivo di uno che diventava più forte, la pace cristiana è da intendersi quale intimo legame con il Signore che non può essere scardinato dal contesto di turno ma che è garantito dalla forza dell’amore. È così che il cristiano si trova a lottare per il Bene mantenendo la coscienza che, nonostante tutto, questa è l’unica via per la quale vale la pena vivere.  

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