La meta dona senso ad ogni cosa

by Mauro 1. novembre 2020 18:44

   Tutti cerchiamo la felicità in questo mondo e il cammino quotidiano è in cerca di pienezza per ciascuno. Eppure fino a quando non riusciremo a coniugare il tempo presente con la meta futura l’esistenza rimarrà irrisolta perché il “qui e ora” non avrà mai la capacità di appagare la profondità dell’animo umano. Per quanto ci si spenda in percorsi bio-psico-spirituali l’equilibrio raggiunto sarà incapace di soddisfare l’inquietudine che regge il cammino umano e che porta a non accontentarsi di quel che si è raggiunto.

L’emancipazione culturale dei nostri giorni ha impoverito l’individuo proprio perché ha preteso di eludere la vita spirituale tacciandola di oscurantismo o di procurare nevrosi all’esistenza individuale e collettiva. In parte la critica muoveva da una considerazione sensata e cioè dall’impossibilità di raggiungere modelli di perfezione idealizzati, proprio perché l’individuo si sperimenta fragile e puntualmente mancante, finendo così in una continua colpevolizzazione di se stessi.

La critica va accolta perché la santità è ben altra cosa e non è affatto riducibile a un cammino di impeccabile perfezione frutto dello sforzo umano. Categorie come puro-impuro, giusto-sbagliato, buono-cattivo hanno significativamente lacerato la crescita di molti che si sono sempre più irrigiditi per mantenersi in una spiritualità disincarnata. La cultura laicista cavalcando l’onda della confusione ha proclamato l’egemonia dell’individualismo come se l’uomo potesse realizzarsi da solo alimentando, così, un sempre maggiore delirio d’onnipotenza. Si è passati, dunque, dallo spiritualismo al soggettivismo sfrenato e, quindi, alla crescita esponenziale di dipendenze e di un continuo cortocircuito nei rapporti umani ridotti ad oggetto di appagamento.

La solennità di Tutti i Santi che celebriamo oggi apre una finestra illuminante su tale fenomeno e ci dona la via per riprendere il cammino. Se parliamo di santità rintracciando in alcuni cristiani una vita esemplare è perché riconosciamo che loro hanno accolto il dono d’amore del Padre consapevoli di tale gratuità. Non si tratta di un rapporto intimistico tra loro e Dio, ma sono entrati in una esperienza comunionale che ha fatto della loro vita un dono significativo per l’umanità che hanno incontrato.

La santità, infatti, scaturisce dall’incarnazione di Cristo ed è Lui che ha reso la carne umana capace di essere dimora di Dio. La corporeità con tutta la sua limitatezza è divenuta capace di esprimere il mistero d’amore che pienamente lega al Padre. “Il più bello tra i figli dell’uomo”, come recita il Salmo 44, si è mostrato sfigurato ed oltraggiato, eppure con ciò non ha perso tale bellezza perché è rimasto saldo nell’amore. L’esistenza umana non dipende, dunque, dalle occasioni propizie ma dalla relazione col Cielo che si mantiene nel cammino per raggiungere la meta.

La meta dona senso ad ogni cosa e permette di guardare in profondità il mistero della vita. È per questo che oggi, nella liturgia, ci viene offerta la mirabile pagina delle beatitudini (Mt 5, 1 – 12) che declina secondo la luce pasquale il cammino a cui è chiamata l’umanità intera.

Senza orizzonte si rimane schiacciati nell’irragionevole presente, mentre perseguendo la meta l’oggi acquista un senso capace di vedere oltre le apparenze. Le beatitudini sintetizzano la profondità della comunione che ci lega al Cielo e che rende possibile mantenere il gusto delle cose celesti malgrado le intemperie della vita.

È così che i poveri in spirito sono detti felici proprio perché di loro è il regno dei cieli. Non si tratta di un merito ma di un regalo che può essere accolto solo se si è poggiata la propria vita in Dio, così come un figlio fa con il padre. Chi cerca di appagarsi con le illusorie ricchezze di questo mondo farà dipendere il proprio viaggio terreno dal potere, dai successi e dall’immagine raggiunta, tutte cose che rendono pieni di sé non dando spazio al dono più grande che ci rende pienamente umani.

Perdiamo la mitezza quando la meta non è più eredità ma viene intesa come oggetto di conquista; perdiamo la misericordia quando pensiamo di dovere meritare ogni cosa con il nostro sforzo; perdiamo la pace quando non ci riconosciamo più figli di Dio e pretendiamo di avere riconoscimenti da quanti ci stanno attorno.

Anche il pianto potrà essere consolato, è l’esperienza dell’amore di chi non si chiude in se stesso ma ripone la propria fiducia nel Custode che accompagna il cammino dell’umanità, come il pastore che si prende cura del gregge. I santi hanno riconosciuto la Sua voce, si sono lasciati rialzare e guarire, per poi mettersi in cammino, da discepoli, seguendo l’unico Maestro.

La storia dell’umanità non ha bisogno di eroi ma di testimoni che affrontano la vicenda esistenziale con la consapevolezza che nulla potrà mai strapparli dall’amore di Dio. I santi hanno mostrato come vivere da pellegrini in questo mondo, custodi della promessa che il Signore ha consegnato allo loro vita. 

 

 

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