Identità tradite

by Mauro 26. marzo 2017 09:43

        La qualità di un prodotto non dipende soltanto dalla sua bontà o integrità nutritiva, è anche relativa al riconoscimento dei diritti della gente che vi ha lavorato per produrlo. Tanto si è abituati all’assenza del volto dell’altro da non considerare la storia di un oggetto o di un cibo, misconoscendo quale prezzo ha pagato l’umanità che lo ha offerto sul mercato di casa nostra. 

         La scrittrice Hannah Arendt affermava che il lavoro imposto dal bisogno riduce in schiavitù. È a questo stato di cose che si è ribellato il giovane camerunense Yvan Sagnet quando nel 2011, dopo un’esperienza lavorativa come bracciante agricolo nei campi della Puglia, si è trovato ad organizzare il primo sciopero per denunciare il caporalato che soggiogava migliaia di operai del sud. Lui che nel 2007  era venuto in Italia per studiare ingegneria a Torino si è scontrato con un sistema che non era neanche contemplato dalla legislazione italiana.

          È così che l’articolo 603bis del Codice Penale, nel 2011, e la nuova legge lo scorso ottobre, hanno incriminato chi recluta manodopera per destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento e violando la normativa sugli orari di lavoro così come delle retribuzioni.

           Parlare di caporalato significa abbattere il muro d’omertà che legittimava lo sfruttamento incondizionato di donne ed uomini bisognosi di lavoro per sopravvivere insieme alle loro famiglie. 

           Il fenomeno, oltretutto, interessa agricoltura ed edilizia ove vengono schiavizzati i deboli della società una volta che vengono reclutati per strada.

           Non si tratta solo di immigrati ma anche di cittadini del nostro Paese che, a motivo della grave crisi economica, hanno accettato di prestarsi a così tale sfruttamento per amore di sfamare i propri figli.

           I lunghi turni di lavoro, le disumane condizioni con cui vengono trattati e la misera paga costituiscono un cocktail esplosivo per la salute psicofisica di queste persone. Non si tratta solo di una condizione equiparabile al lavoro nero mal pagato, così come avviene nella maggior parte del territorio meridionale, qua si assiste ad una struttura criminale organizzata e pianificata a discapito della povera gente.

         È un contesto di assoggettamento che man mano impone ritmi di lavoro e modalità di vita sempre più esproprianti, controllando gli acquisti dei beni di prima necessità fino a gestire la vita privata e ad abusare delle giovani donne. Il terzo rapporto Agromafie e caporalato, del maggio 2016 ad opera dell’osservatorio Placido Rizzotto, dichiara che tale sistema produce un’economia fino a diciassette miliardi di euro! 

             Pratiche che attraversano tutta la nazione ed in particolare il meridione, compresa la Sicilia come si evince dalle recenti inchieste condotte a Vittoria e a Ragusa. Proprio lì don Beniamino Sacco ha denunciato la mercificazione delle donne costrette a prostituirsi oltre che a lavorare nei campi.

         Temi quali l’assoggettamento psicologico e la manipolazione mentale, lo sfruttamento della debolezza volitiva dovuta al grave stato di disperazione e di perdita di senso, sono a mio avviso aspetti di cui la nostra società, ed il “fare politica” che la regge, deve affrontare procurandosi uno spazio di pensiero e di intervento appropriato.

             Colgo, oggi, il grido disperato di tanti che abbisognano di ascolto e di senso di vita per tornare ad affrontare il quotidiano. Nel cuore della nostra Città, a Danisinni, tra qualche giorno incontreremo Yvan Sagnet, fratello di terre lontane che con la sua voce ha condiviso la causa della nostra terra, come a ricordarci che il bene di un popolo è, di riflesso, il bene di ogni popolo. E questo, oggi più di prima, va difeso ad una sola voce. 

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