Teatro? No, realtà!

by Mauro 18. dicembre 2011 23:54

    Nella sera del primo aprile del 1921, a Vienna, prendeva forma ufficiale un particolare tipo di incontro con il pubblico che, a differenza del teatro classico, vedeva nella messa in scena quello che di lì a poco si sarebbe sviluppato con l’appellativo di “gioco psicodrammatico”.
    Il conduttore di quella serata, Jacob Levi Moreno, iniziò a sperimentare e propagandare il suo nuovo metodo che dalla Vienna del tempo si diffuse gradualmente in tutta Europa fino ad arrivare in America dove Moreno si trasferì nel 1925.
    Laureatosi in medicina nel 1917, Moreno fin da subito rifuggì gli ambienti tradizionali rivolgendo la sua attenzione professionale al di fuori dalle mura istituzionali, in particolare verso le prostitute e i bambini. Potremmo dire che egli fu attratto proprio dal confronto con l’autenticità delle loro storie, dai profondi travagli che essi sperimentavano, esperienze tutte che facevano di questi attori i destinatari privilegiati per la sua proposta pedagogica: l’arte del sognare.
    Nel suo “percorso di strada” Moreno si rende conto che i bambini potevano offrirgli una straordinaria capacità di improvvisazione e di spontaneità, mentre le prostitute una autenticità e concretezza di vita drammatica scevra da coloriture artefatte.
    Quello che nel 1921 si avviò come particolare forma di teatro spontaneo, senza canovaccio, ebbe una significativa crescita nel 1923 quando Moreno poté appurare l’effetto terapeutico del suo metodo.
Inizialmente il “teatro della spontaneità” in Europa non ebbe un grande seguito, forse perché troppo al di là degli schemi tradizionali, sarà l’America a dare piena possibilità di espressione al nuovo metodo d’approccio psicologico.            Moreno aprirà una clinica psichiatrica a Beacon e successivamente, nel 1932, si occuperà della rieducazione dei prigionieri del carcere di Sing-Sing. Dapprima Moreno applicò ai pazienti della clinica i suoi test di spontaneità e successivamente integrò il suo lavoro con gli studi della spontaneità di gruppo all’interno della prigione. Veniva a nascere così la sociometria, tecnica funzionale alla misurazione delle relazioni inter-personali nei piccoli gruppi.
Successivamente, nel 1940, Moreno fonderà a New York l’ “Istituto Psicodrammatico” e dal 1951 in poi il suo metodo troverà una espansione mondiale che dura fino ai giorni nostri.
    Definire quale sia stata l’intuizione di Moreno non è cosa semplice. Lui stesso affermava che lo psicodramma, prima ancora che un metodo, era un’esperienza di vita. A partire dal confronto con l’ambiente che lo circondava veniva a dispiegarsi lo psicodramma della sua vita, di cui lui stesso era, al contempo, attore e protagonista.
    L’intuizione scaturì proprio dalla sua esperienza, dall’osservazione della realtà con occhi nuovi. Individuiamo negli incontri che Moreno aveva nei giardini di Vienna uno dei momenti cardini di questa esperienza creativa. Si ritrovava circondato da numerosi bambini che attraverso i suoi racconti surreali si lasciavano condurre all’interno di storie animate, dove ciascuno poteva trovare il proprio posto. L’immediata risposta dei bambini, la loro capacità di inserirsi spontaneamente in nuove storie, convinse Moreno a ricercare la stessa spontaneità che a suo avviso sta nascosta in ogni persona.
    Si tratta pertanto di un metodo volto alla riscoperta delle realtà presenti nella persona, ed il termine composto, psyché-drama (che letteralmente significa “anima-azione”), ci rimanda ad un processo dinamico che coinvolge la profondità dell’essere umano.
    Infatti Moreno pensa allo psicodramma come alla scienza che esplora la verità che sta in ogni persona e che può essere raggiunta, a differenza delle scienze che ricercano tale verità in modo speculativo o a partire dall’osservazione, attraverso la messa in scena propria del metodo psicodrammatico.
Nella ricerca di questa verità l’essere umano non è mai solo o isolato dalla realtà che lo circonda ma, in linea con la sua natura relazionale, la verità su se stesso viene ad intrecciarsi con la verità sull’altro. Pertanto alla forte esperienza personale si unisce l’esperienza del gruppo che funge da luogo di sperimentazione.

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