Dare un senso alle cose della nostra vita: riflessione partecipata

by Mauro 1. febbraio 2014 14:45

         Stamane con una classe di studenti  di un Istituto professionale palermitano abbiamo avuto modo di confrontarci su tematiche di spessore inerenti ai nostri giorni e agli ambienti che abitiamo. L’occasione che ha dato modo di avviare la riflessione partecipata è stata quella della collocazione del Crocifisso nella loro aula scolastica.
       I docenti hanno colto il bisogno di confronto e dialogo di quei giovani ai quali sembrava necessario discutere su quella decisione, sui perché di una scelta che comunque li coinvolgeva in quanto l’aula è il luogo in cui trascorrono buona parte della loro giornata.
      Ritengo preziosa la questione sui “perché”, è importante dialogare con un giovane così come con un bambino o un anziano quando chiede il perché delle cose, è proprio questa domanda che viene caratterizzare in modo speciale la nostra specie, capace di questionarsi sulle ragioni delle cose.
         Abbiamo così creato uno spazio di risonanza emotiva oltre che di pensiero. Si, perché la comprensione non è frutto di mero ragionamento, piuttosto questo è mediato dal sentire e viceversa. Un limite dei nostri giorni è dato, a mio avviso, dalla eccessiva velocità delle informazioni a cui ci esponiamo, ciò non permette di elaborare e lasciare sedimentare, tenere quel che arriva acuisendone, cioè, consapevolezza. Ma questo non è solo fattore mentale è anche del sentire, infatti non ci permettiamo di arrivare ai sentimenti frutto dell’essere stati a contatto prolungato con i nostri vissuti. È il tempo dell’impulsività il nostro, come se stessimo perdendo la competenza di elaborare le pulsioni attraverso le emozioni che risuonano dentro e, man mano, prestare ascolto ai sentimenti. Ma per questo ci vuole lentezza, tempo di ascolto e di sosta, capacità di stare con i propri vissuti, anche quelli più angoscianti. Questo lo si impara attraverso il contenimento dell’altro, la presenza fisica dell’altro che ci sta di fronte, rasserenandoci se è il caso rispetto ai nostri vissuti. Quello che accade nella primissima infanzia quando un bambino/a viene sostenuto dal comportamento responsivo della madre che si prende cura del suo pianto o del dolore.
               Potremmo dire che il Crocifisso in prima istanza ci rimanda a questo contenimento, indicando con il suo esserci che la vita di ognuno è speciale e neanche la morte riuscirà a strapparci il dono dell’esistenza così come la forza dell’amore. Quel segno non indica la sconfitta ma la vittoria attraverso il perdono, la verità, la difesa della giustizia, la fiducia in Dio.

             Mi rendo conto di come certi simboli nella nostra cultura hanno perso il loro significato o, meglio, il processo di trasformazione culturale non permette di avere gli stessi codici di lettura, condivisi fino a venti anni fa. Concordo con i giovani che  mi dicono che si usa un Crocifisso come un amuleto, alla stessa stregua di un talismano dai poteri magici.
             È ben altro potere quello che il Crocifisso mostra, è lo stare di Dio in relazione con l’essere umano nonostante tutto, Dio resiste alla logica di inimicizia e la contrasta con il suo esserci mantenendo vivo il suo desiderio di amicizia. A volte sono le paure a dirigere la nostra vita, tra queste quella della morte sembra avere il primato. E per paura di morire impostiamo una esistenza fondata sull’apparire e sull’accumulare per potere dire agli altri e a noi stessi, che ci siamo e abbiamo valore!

             Il Crocifisso sembra, piuttosto, dire ad ogni essere umano: tu ci sei perché dono, l’amore non ha un prezzo e il dono d’amore non può essere restituito, è un dono per l’eternità.
           A conclusione di questo incontro mi sono tornate in mente, e risuonano dentro, le parole di una canzone di Renato Zero:
Mi arrampico da secoli
ogni parete è mia
sfidando leggi fisiche
paure e ipocrisia
le difficoltà si sommano
il mio limite qual'è
quanto potrò mai resistere
sempre appeso ad un perché…
Aggrappato alle tue lacrime
finché il tuo dolore è il mio
per sentirmi meno inutile
ed un po' più umano anch'io
sono scalatore intrepido
che più folle non si può
per portare in salvo questo amore
non sai che m'inventerò
non ho mai posto limiti
alla provvidenza io no…
Anche se da certi uomini
sorprese io non mi aspetterò
ma qualcuno dovrà crederci
e sfidare la realtà
scegliere come vivere
imparare come si fa…
E non è necessario perdersi
in astruse strategie
tu lo sai può ancora vincere
chi ha il coraggio delle idee…
Mi lascerò coinvolgere
io non torno indietro no
fino a che fra queste nuvole
la mia cima toccherò
mi dispiace se tu non sei qui
a godere insieme a me
nel vedere il giorno nascere
e c'è Dio vicino a te…
Alziamo muri altissimi
perché poi io non saprei
anche se poi certi uomini
non amano mostrarsi mai
ma qualcuno dovrà crederci
pioggia o vento essere qua
amare per non perdersi
insegnarlo a chi non lo sa
e poi moriamo senza accorgerci
sotto un cielo di fobie
dimmi che può ancora vincere
chi ha il coraggio delle idee


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