La parole rubate

by Mauro 23. maggio 2017 23:02

     Questa sera in un teatro Massimo gremito di palermitani abbiamo ascoltato le parole rubate o, meglio, il silenzio lasciato da quelle parole che in quei 57 giorni sono scomparse dalla Città che accoglieva i due magistrati, Falcone e Borsellino. Loro nell’anno 1992 concludevano la loro eloquente missione ma questa non ha smesso di attendere nuove parole, testimoni capaci di dare seguito con la loro storia a quella narrazione comunitaria.
La vita, quella di chi non vive per se stesso ma di chi fa della propria esistenza un impegno per la dignità comune, è un quotidiano consumarsi che, in quel caso, né il cratere all’imbocco di Capaci e neanche la chilometrica scia di vetri in frantumi di via D’Amelio poté arrestare.
Amici oltre che compagni di lavoro, Giovanni e Paolo, hanno affrontato la bestia, quella mafiosa, senza tirarsi indietro malgrado i presagi di morte.
È vero che ancora oggi, il sistema mafioso continua a provocare per intimorire come il plateale e vile gesto di ieri quando, in mezzo ai bimbi che andavano a scuola, di buon mattino è stato ucciso Giuseppe Dainotti, uno che apparteneva al sistema seppure recentemente scarcerato.
Nel mentre che fin da ieri pomeriggio nella zona la vita continuava a scorrere con la consueta naturalezza, come se nulla fosse accaduto, questa sera al Massimo ho trovato tanti ragazzi e giovani del Rione che stavano a commuoversi per le parole rubate e, al contempo, sapevo che nelle parrocchie d’intorno la veglia di preghiera di stasera elevava la voce della chiesa implorando la conversione dei mafiosi.
Ciascuno è custode della parola: quella non detta potrebbe determinare la condanna a morte di un altro mentre quella detta diventerebbe opportunità di salvezza per molti.
La memoria di quelle vite così come quella di don Pino poco dopo, è radice per la nostra generazione, e quel che tali testimoni ci hanno fatto conoscere non può cessare di essere ricerca nel nostro quotidiano. Siamo alla ricerca di parole nuove, non chiacchere, ma parole che restituiscono dignità alla Comunità a cui appartiene ciascuno di noi, quella del bene comune, l’unica che merita di raccontarsi.


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