Se di Dio la Scrittura può dire “In principio è la Parola” dell’uomo in modo analogo si può affermare “In principio è l’Ascolto”.
L’essere umano entra nella storia ascoltando la presenza di chi si prende cura di lui. Un neonato è attento alla presenza altrui, impara a conoscersi in base alla vicinanza dell'altro, misura il tempo in rapporto alla mancanza e alla capacità di sostenerla per periodi sempre più prolungati, in ogni caso attiva tutta la sua sensorialità che lo rende capace di ascolto a 360°.
Ascoltare è ben più che il semplice "sentire", piuttosto significa comprendere i messaggi inviati dall’interlocutore, il suo modo di pensare, i suoi punti di vista. C’è un vissuto che la persona trasmette che va al di là del mero contenuto di ciò che dice.
In effetti si può parlare di un ascolto che passa attraverso diversi canali sensoriali. Schulz von Thun, parla di un ascolto a quattro orecchie definendo le varie dimensioni nel quadrato della comunicazione. In realtà già Paul Watzlawick venti anni prima, nel 1967, aveva evidenziato la componente relazionale che supera, per rilevanza, il contenuto stesso.
Durante l’ascolto pertanto bisogna tenere presenti quattro dimensioni:
• Contenuto: di che cosa si tratta?
• Relazione: come definisce il rapporto con te, che cosa ti fa capire di pensare di te, colui che parla?
• Rivelazione di sé: ogni volta che qualcuno si esprime rivela, consapevolmente o meno, qualcosa di sé.
• Appello: che effetti vuole ottenere chi parla? Ciò che il parlante chiede, esplicitamente o implicitamente, alla controparte di fare, dire, pensare, sentire.
Pertanto ascoltare significa non confondere la persona o il messaggio trasmesso con il contenuto esplicito. Un buon ascoltatore è un Testimone del processo che accoglie, non è un “filtro” dell’esperienza altrui. Non deve comprendere per possedere (appropriarsi dell’altro per ribadire ciò che deve fare o essere) ma comprendere per restituire. Ciò significa rispecchiare accogliendo il mistero e la sacralità della persona che si ha di fronte.
L’Operatore del CdA non è lì per sentenziare ma per accogliere l’ospite che si presenta. In questo estremo lembo della terra di Sicilia in cui viviamo il Laboratorio per Operatori di CdA, la Diocesi di Mazara del Vallo, la cultura cristiana si mescola con quella islamica del popolo magrebino e sembra esprimere questo intreccio proprio nel senso di ospitalità che caratterizza le due popolazioni.
Quello dell'Ospitalità è un tema caro all'identità cristiana e ancor prima a quella ebraica. Israele nasce come popolo straniero, ogni israelita si presenta raccontando del padre Abramo quale "arameo errante". Un'identità che permarrà anche dopo avere raggiunto la terra promessa, luogo ove il popolo è chiamato a condividere con lo straniero i beni della terra e a non appropriarsi in modo esclusivo. Gesù chiederà di essere accolto, accoglierlo in casa è segno di compartecipazione alla sua missione-identità. Ed è vero anche il contrario, in Lc (7, 1-10) si legge come l'ufficiale romano che chiede a Gesù di guarire il suo servo, gli manifesti di non essere degno di accoglierlo in casa. Accogliere significa "mischiarsi", non rimanere estranei, per cui quell'uomo ha timore che Gesù possa mischiarsi con lui che sente di essere peccatore. La missione di Gesù sarà proprio quella di confondersi con la gente che incontra in modo da comunicare la sua identità, in primo luogo, attraverso il suo perdono-accoglienza.
Pensiamo all'analoga esperienza di Francesco di Assisi. Lui inizia incontrando ed accogliendo i lebbrosi che vivevano nelle campagne fuori Assisi. Loro stanno ai margini della città, al di fuori delle mura, sono esclusi dai cittadini per non essere contagiati. Lui esce fuori e viene accolto nel loro spazio, al contempo è lui che li accoglie riconsocendoli come persone.
Subscribe