La gratuità è altra cosa

by Mauro 20. settembre 2020 10:10

   La questione sulla retribuzione sembra essere centrale per il nostro tempo, moltitudini di individui costantemente si chiedono se quella talcosa convenga loro e l'esistenza umana finisce, così, valutata in termini di tornaconto, di utile da ricavare, perdendo il vero valore dei giorni.

Si cammina, di conseguenza, senza capacità di discernimento perchè le scelte sono determinate dal migliore offerente e ciò equivale a dire che la vita è in potere di chi promette un guadagno maggiore!

Il criterio delle scelte, allora, non sarà più il bene piuttosto che il male, la fedeltà ad un mandato lavorativo anziché la corruzione, il dono amorevole per l'altro invece che l'egoismo capace di gesti spietati. Le decisioni assumono dei paramentri relativi e soggettivi, senza un'etica di riferimento.

Molti perdono la propria vocazione e cioè il senso e la missione personale, proprio perchè il calcolo ha soppiantato la relazione d'amore: la vita coniugale si trasforma in un continuo ricatto in nome dell'uguaglianza, le consacrazioni si spengono rintanandosi in una sorta di utile che garantisca la sopravvivenza, la missionarietà e il rischio profetico a favore degli ultimi delegano il loro compito all'apparato burocratico istituzionale. La vocazione, invece, è frutto di una relazione filiale che consegna al cammino quotidiano con gratitudine e fiducia.

Gesù nella parabola del Vangelo di questa domenica (Mt 20, 1-16) rivela come la sua misura è ben altra, il suo salario è lo stesso per gli operai dell'ultima ora così come per quelli della prima!

La paga per mantenersi un giorno, la retribuzione per affrontare il quotidiano, è solo strumentale. In fondo anche la manna nel deserto era il cibo di un giorno e pertanto capace di nutrire la relazione con Dio, la fiducia nel suo agire provvidente. L'uomo che pensa ad accumulare manca di fede e sta spostando il baricentro sui possessi rinunciando alla relazione con Dio.

È questo il punto, gli operai della prima ora stanno perdendo l'occasione di contemplare e riconoscere l'amore del padrone. Loro sono privilegiati perchè, rispetto agli ultimi, sanno come ragiona il padrone e cioè con un cuore magnanimo e capace di gratuità. Hanno occhi colmi di invidia e ritengono, mormorando, che dovrebbe spettare loro una ricompensa maggiore.

L'attenzione è spostata sui soldi e non sul cuore del Padre, lo stesso rivendivava il figlio maggiore della parabola del Padre misericordioso quando ebbe a vedere la festa organizzata per il fratello prodigo. Godere della vicinanza del Padre è ricompensa e il Regno dei Cieli non è qualcosa da relegare al futuro ma è già esperienza attuale, prossimità di Dio che apre ai legami fraterni.

Senza esperienza filiale, dunque, non è possibile aprirsi alla vita spirituale, e anche il rapporto con Dio sarà vissuto in termini retributivi di impegno e di sforzo per avere la ricompensa. Tale atteggiamento fa perdere il gusto relazionale proprio della fede e apre lo sguardo ad una sorta di competizione per arrivare prima del fratello.

Fino a quando i rapporti umani saranno mercificati non sarà possibile riconoscere la preziosità del dono e gli strumenti saranno scambiati per fini. Francesco d'Assisi prima idealizzava l'esistenza in termini di successo e di immagine da coltivare per l'escalation sociale e, dunque, considerava i lebbrosi vomitevoli e cioè cose da allontanare perfino dalla vista.

Quando, poi, scopre di essere figlio del Padre ecco che allora il suo gusto cambia aprendosi alla relazione con l'altro e il lebbroso diventa fratello ed esperienza di “dolcezza d'animo e di corpo”.

Il cristiano non può vivere scisso. Se si riconosce figlio del Padre non può fare a meno di farsi prossimo per il fratello ma è necessario, per custodire tale dono, scegliere di cosa nutrirsi perchè non tutti i cibi generano vita.

 

 

 

 

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