Custodi di giustizia

     La  crisi di paternità dei nostri giorni si evince non soltanto dalla labilità dei rapporti umani, legami a tempo o condizionati dall’interesse di turno, ma anche dalla mancanza di direzione. Sempre più persone rimangono avvitate nel vortice di ambizioni e di passioni alla ricerca di continuo godimento e potere senza, però, reale appagamento.

Il padre con il suo quotidiano faticare, piuttosto, mostra una direzione e, al contempo, pone un limite. L’assunzione di responsabilità, infatti, lo mantiene nella scelta rinunciando a tutti gli innumerevoli mondi possibili. La crisi della paternità, dunque, la troviamo espressa nell’eterna sospensione in cui molti cadono, un continuo procrastinare  le decisioni centrali della propria esistenza.

La Comunità di Danisinni in occasione della festa di San Giuseppe si è fermata a riflettere sull’assunzione di questa responsabilità che nella figura dello sposo di Maria assume la connotazione di custodia e di giustizia.

Un tema pregnante nei nostri giorni quando, sempre più spesso, per custodire si è chiamati a compiere delle “ingiustizie” secondo la legge terrena così come in questi giorni è capitato al comandante della nave Mare Jonio, al sindaco di Riace arrestato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, al  procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio nei confronti della Diciotti o, ancora, a Luciano Manna, nostro amico, che ogni giorno denuncia gli scellerati abusi dell'Ilva di Taranto. Sono tutte questioni dove per custodire bisogna venire allo scoperto, rischiando in prima persona pur di fare giustizia.

Giuseppe si assume il compito di difendere Maria e Gesù. Da uomo “giusto” avrebbe ripudiato la sposa in segreto e così ne avrebbe preservato la vita. Avrebbe risolto tutto senza più conseguenze per sé, lasciando al loro destino Maria ed il nascituro. Quanto perbenismo fa della storia attuale una continua vetrina per raccontarsi e dimostrare che si è “buoni” ma, in realtà, non ci si compromette affatto!

Per vivere la paternità è necessario fare scaturire un inedito interesse per l'altro. Pur non avendo stabilito un precedente contatto biologico, come può essere per la donna, il padre è chiamato a fare spazio dentro di sé per accogliere la creatura in arrivo. Giuseppe vive questa esperienza rinunciando ad ogni rivendicazione sulla sua sposa, l'eredità e cioè la discendenza davidica, viene trasmessa in modo del tutto gratuito. Il suo legame, quale sposo di Maria, è fondato sulla custodia e la sua paternità altrettanto.

Simile esperienza è possibile perchè Giuseppe si mantiene in ascolto, si riconosce figlio perchè ha fede in Dio. La fede è sempre esperienza di figliolanza ed è per questo che l'ideologia del nostro tempo cerca di inibire la fede propinando l'autoaffermazione in cui l'esistenza personale si riduce a mera celebrazione di sé. Tale idealizzazione ha come ritorno il vuoto depressivo o, ancora, la fuga in condotte compensative come l'iperattività o le dipendenze. Svuotato di senso il rapporto umano, è il rapporto con le cose ad assumere un ruolo sostitutivo e, chiaramente, mai eguagliabile.

Troveremo Giuseppe in cammino, esodato in Egitto per proteggere la prole e poi in umile ascolto per seguire il progetto che, di fatto, non conosce. Non parte dalla comprensione ma dallo stare nel quotidiano, senza fughe in avanti, sa che gli è dato di fare solo un passo al giorno.

A differenza di Maria, Gisueppe non vedrà la Pasqua del suo figlio Gesù. Morirà prima ed è perciò che la sua vita dovrà fidarsi ciecamente di una promessa. È perciò che nei secoli sarà indicato quale “provvido custode”, è uomo generoso Giuseppe perchè avendo fatto una scelta, seguendo una direzione ha lasciato tutto il resto e ha donato la sua vita alla missione che Dio gli ha consegnato.

Chi nutre brama di possesso non riesce a stare in una scelta, vorrebbe accaparrarsi tutto. Ma per stare in cammino bisogna essere leggeri senza disperdersi in tanti conflitti e rivendicazioni, custodendo l'unica battaglia necessaria.