I preziosi colori d'autunno

by Mauro 9. dicembre 2017 16:02

   Perdere per trovare, consumarsi per costruire, attraversare il deserto per trovare la meta, sono azioni difficili per l'uomo contemporaneo che, seppur apparentemente spavaldo, nutre una profonda paura di smarrimento.

È intricata la riflessione che la Comunità fa oggi confrontandosi con la Parola della seconda domenica di Avvento in cui si parla di un annuncio che viene dal deserto.

Luogo da attraversare e che non permette vita stanziale, tale pretesa diverrebbe morte. Rappresenta quel luogo in cui si sperimenta la perdita di ogni umana certezza e l'attesa di altro, il desiderio di una meta, il bisogno di trovare ristoro da un'altra parte.

Proprio il deserto è metafora di cambiamento nella Scrittura, è il luogo che segna l'Esodo per Israele e, ancora, il ritorno dall'esilio. È necessario attraverare l'esodo per ritrovare la propria terra, quella che è dono gratuito di Dio e non conquista pretenziosa, è necessario sperimentarsi poveri e bisognosi per riaccedere alla terra che custodirà la vita.

L'annuncio di questo viaggio viene a segnare l'inizio del Vangelo (Mc 1, 1-8) del “Figlio di Dio”, è un titolo che potrebbe trarre in equivoco. Il modo di essere autenticamente “figli” sarà rivelato da tutto il Vangelo e manifestato in modo esemplare quando, al termine, il centurione romano inginocchiandosi ai piedi della croce riconoscerà nel povero Cristo sfigurato, il Figlio di Dio!

Intricata la comprensione. Perchè umanamente si fugge da simili vissuti, tanto si è abituati ad esperienze “mordi e fuggi” che vorrebbero fermare l'umano ad un eterno presente di godimento immediato. Il deserto ricatapulta nella storia, nell'inquietudine esistenziale che ciascuno porta addosso e chiede di stare davvero nel cammino per trovare cambiamento, evoluzione e gioia profonda.

È da lì che parte Giovanni, da quella vulnerabilità che accomuna ogni essere umano e proprio da lì grida, indicando il bisogno di preparare la via. Quale via? Quella per ascoltare, accogliere e lasciarsi incontrare.

L'uomo è ciò che ascolta, diventa quel che attende, l'uomo è desiderio. Giovanni invita ad immergersi per il battesimo di conversione, frutto del pentimento e del senso di colpa. È un primo passaggio che riguarda il passato, la consegna della propria storia in quanto, da soli, si portano avanti percorsi che rivelano ingiustizia e spreco dei propri doni.

Egli, però, non permette di fermarsi a questo, sarebbe come condannare la persona al rimpianto o, ancora, ad idolatrare un uomo da cui dipendere e a cui tornare in modo compulsivo a motivo del senso di colpa. Giovanni dirà che lo sposo è un altro, cioè colui che dovrà dare una discendenza alla donna rimasta vedova e pertanto incapace di generare vita (fa riferimento al rito dello scalzamento della legge del levirato).

È Gesù che dovrà rendere nuovamente fecondo il popolo attraverso il suo battesimo in Spirito Santo. Lui, cioè, donerà l'esistenza nuova riversando la sua vita nel cuore di ogni figlio di Dio.  Si tratta dell'esperienza d'amore propria di ogni battezzato in Cristo, la capacità di sentirsi rigenerati propria della vita spirituale in Cristo. È un battesimo che apre al futuro, al cammino verso la meta in cui Dio sarà “tutto in tutti”, luce piena.

Non si tratta certo di uno spiritualismo disincarnato, è il corpo e la totalità di ogni essere umano ad essere colmato della presenza di Dio. Il gusto spirituale è sapore che rivitalizza l'interiorità dei cristiani che, per questo, sono detti “luce del mondo” e “sale della terra”.

Gesù che aveva detto “io sono la luce”, dice lo stesso dei suoi attraverso un rapporto identificativo in cui, colui che accoglie diventa come il Maestro!

Tornando all'immagine di Gesù ci rendiamo conto che il sale conserva e purifica, permettendo di custodire la bontà degli alimenti. Si mantiene il gusto, il sapere, ossia la conoscenza delle cose attraverso il sale. E la luce permette di riconoscere, di contemplare e di gioire per la bellezza. Un'esistenza buia è triste, priva di vitalità, senza luce e calore non c'è vita.

L'esperienza cristiana, ricodiamo, è cammino in continua evoluzione, un arricchirsi che procede attraverso sempre maggiori perdite, un ritrovarsi frutto del consumarsi, un dare per ricevere.

Penso all'immagine di due sposi. Il matrimonio provato nel crogiolo degli anni, nella fatica quotidiana, frutto dello svelamento delle reciproche fragilità, solo nel tempo diventa tale. È  contempalzione di una bellezza che va oltre le apparenze, che è frutto di attesa e ascolto, di accoglienza e fiducia.

Penso a Guido e Rosa che oggi, nella nostra Comunità di Danisinni, compiono quarantacinque anni di matrimonio. Una storia, sale e luce, da raccontare.  

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