La battaglia è sul piano identitario

by Mauro 10. marzo 2019 15:35

        L'esistenza rimane mistero per tutti, aldilà del credo e delle aspettative ogni essere umano è immerso nel tempo della vita. Questa connotazione rende il cammino umano affascinante, incomprensibile e, proprio per questo, da scoprire ogni giorno. Ciò è possibile quando si è capaci di sosta e di ascolto, sguardo che va oltre le apparenze. Altrimenti i giorni finirebbero per essere frenesia o tedio, ed è quel che accade a tanti.

          Moltitudini di genti hanno fatto della loro vita una continua corsa per prendere ed accumulare o per riempire il tempo di cose da fare alla ricerca dell'elisir perfetto. Altri sono caduti nella dilatazione del tempo dove tutto viene colto come eternità, dove l'attesa diventa insostenibile e bisogna anestizzarla ad ogni costo. È così che si immergono in un sonno profondo, quello depressivo, che spesso è segnato dalle fughe alienanti come l'alcool o altri espedienti che permettano di non sentire.  In entrambi i casi l'altro non è amico ed è colto ora come rivale con cui competere oppure come persona da invidiare o di cui essere gelosi.

Buona parte del pensiero contemporaneo spinge in questa direzione collocando l'individuo al centro del mondo, separato dagli altri ed in continua competizione. È la logica dell'affermazione di sé che fa dei rapporti umani una questione di potere  e cristallizza il tempo come se ciascuno dovesse affermare la sua perfezione anziché riconoscersi precario in divenire, alla ricerca di sempre nuovi equilibri, proprio perchè in cammino.

L'esistenza, allora, è combattimento per custodire la libertà e per mantenere la direzione del viaggio che altrimenti verrebbe fuorviata da scorciatoie che presto si muterebbero in labirinti invalicabili. 

Riconoscere tale evidenzia permette ad ognuno di stare nelle questioni ordinarie scrutando il passo quotidiano senza voli pindarici o pretese che, puntualmente, si rivelerebbero distruttive. Piuttosto siamo chiamati a comprenderci in relazione, altrimenti perderemmo la rotta ed il senso dei nostri giorni.

In questa domenica, prima di quaresima, ci viene restituito il senso del tempo a partire dall'esperienza che Israele fa con la liberazione dalla schiavitù d'Egitto. Leggiamo nel libro del Deuternomio (26, 4-10) che il coltivatore presenta le primizie al Signore quale dono gratuito frutto del proprio lavoro. Mentre nel tempo della schiavitù le primizie erano dovute al padrone quale prezzo della schiavitù, ora nella terra promessa Israele dona a Dio perchè riconosce il grande regalo ricevuto da Lui. È la gratitudine e non la sudditanza a reggere questo rapporto filiale.

Questa è la premessa che fa del cristianesimo una fede e non una religione. L'esistenza, dunque, viene colta non come una conquista ma come una lotta fiduciosa, in cui ciascuno è chiamato a custodire il prezioso dono dell'essere figlio. I grandi scontri del nostro tempo sono sul piano identitario, quando viene misconosciuta questa identità ad interi popoli viene proposto di affermarla anche a discapito di altri. Ed è così che i vicini diventano stranieri e il femminile viene trattato con violenza perchè denuncia la diversità e cioè l'identità differente o, ancora, i rapporti vengono costruiti sulla omologazione ed altrimenti si ricorre alla esclusione.

La pagina evangelica di questa domenica ( Lc 4, 1-13) rivela quante prove possano attentare al processo identitario, rendendo necessaria la lotta fondata sulla resistenza per custodire quel che si è. Gesù si trova nel deserto, nel luogo della essenzialità dove non c'è spazio per il  superfluo. È il luogo in cui non c'è una posizione stanziale ma necessita mantenersi in cammino per non morire.  Proprio in quel contesto di precarietà e profondo ascolto Gesù si confronta con le tentazioni, le tre che stanno alla base di ogni combattimento umano.

La prima tentazione, “Se sei Figlio di Dio, di’ che questi sassi diventino pane”, viene a minare la radice dell’essere, cioè il nutrimento del proprio vivere.

Ogni tentazione ferisce la relazione con il Padre mettendo in discussione l’identità di figli. È l'insidia di sempre e, in particolare, del nostro tempo quando si cerca di separare il Figlio dal Padre pretendendo di sfarmarsi da soli.

Già durante l'Esodo gli ebrei mormorarono contro Dio e ritornarono con nostalgia al cibo d’Egitto ricevuto a prezzo della schiavitù. La manna, invece, sarà il cibo donato per un giorno, cioè frutto di una relazione di fiducia e non del calcolo per garantirsi il futuro.

Una parte di umanità va in cerca del cibo migliore, sfrutta il creato e i popoli pur di avere appagamento sempre maggiore. Molti, ancora, vivono di nostalgia cercando il pane di ieri e non quello di oggi. Sono quanti si ripiegano sul passato rifiutandosi di vedere ed accogliere quello che Dio sta mostrando al loro quotidiano.

La fiducia e l'obbedienza al Padre permette di mangiare il cibo che dona la vita, così come proposto fin dal racconto delle origini. L'alternativa del tentatore è quella di nutrirsi del frutto della disobbedienza, cioè cibarsi senza ascoltare la voce del Padre.

È l'uomo che si fa artefice della sua creazione, capace di trasformare con la sua parola la pietra in cibo, gli oggetti in nutrimento. La nuova tendenza ad oggettificare anche le persone fatte succubi della propria fame.

Il rapporto con il Padre, in definitiva, è questione di cibo ed il rapporto con l’altro è, allo stesso modo, questione di cibo. Gesù non sfamerà se stesso ma rimarrà in ascolto nutrendosi della Parola e, successivamente, quando troverà una folla che ha fame ne avrà compassione donando per tutti il pane della condivisione.

La seconda tentazione è sul potere. I regni della terra sono mostrati in un istante e offerti a prezzo della sottomissione.

Ciascuno nel cammino della propria vita è chiamato a discernere se il suo fare è per potere o per servizio. Il potere ha breve durata e poi si affaccia al baratro della solitudine e del non senso. 

Mi ha sempre colpito come grandi latitanti dei nostri giorni si sono accontentati di vivere in tuguri isolati dal mondo pur di mantenere il potere. Se fossero andati in un altro continenente forse avrebbero potuto mimetizzarsi fra la gente e vivere come i comuni mortali, ma hanno scelto di vivere nell'isolamento più grande pur di mantenere questa boria di grandiosità attraverso il potere. È una grave malattia che fa terra bruciata attorno e fa di un'esistenza una eterna solitudine.

Ultima tentazione è inerente alla religione. Proprio sul pinnacolo del tempio, il cuore del credo d'Israele, il tentatore sfida Gesù invitandolo a gettarsi per essere salvato dagli angeli del Padre suo.

Una sfida per piegare il Padre alla pretesa del Figlio. Un'azione dimostrativa per verificare la bontà di Dio, così come è di molte preghiere che vengono presentate al Cielo per verificare se Dio è davvero giusto e buono. 

Quel gesto, inoltre, avrebbe significato saltare la propria storia attraverso una via sensazionale per dimostrare la propria superiorità.

Eppure Gesù camminerà nei meandri della quotidianità e solo quando sarà elevato sul legno della Croce, nel vederlo morire in quel modo e cioè capace di perdono nonostante tutto, molti riconosceranno che davvero costui è il Figlio di Dio.

La via del Signore, dunque, è la vita ordinaria così come è dato ad ogni essere umano che vive coraggiosamente lungo il cammino della propria storia. La storia personale è il luogo in cui è possibile sperimentare la paternità di Dio, il luogo in cui il suo fare misericordioso può tornare a rivelarsi attraverso l'esistenza di ciascuno. 

 

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