Pedagogia del desiderio/2

by Mauro 16. settembre 2013 14:40

         Il nostro tempo viene definito come età della tecnica e ad essa è stata delegato il compito di procurare agio all’umano vivere acquistando una sorta di capacità miracolosa capace di dare soluzione al problema dell’uomo.
        Eppure la tecnica non è in grado di rispondere alle domande esistenziali del genere umano, la stessa comodità procurata dalla tecnica sovente non equivale a benessere o a disponibilità di maggiore tempo per stare nelle cose della vita e neppure corrisponde unicamente  a piacevolezza. La tecnica tutt’al più  viene ad anestetizzare il sentire, i desideri il cui contatto, altrimenti, veniva mantenuto attraverso lo sforzo e l’industriarsi per arrivare alle mete.
        La questione del desiderio permane aperta a prescindere dallo status sociale di appartenenza, nei ceti più agiati i confort  vengono a saturare la vita e a riempire le case fino ad inibire la creatività e la spinta alla ricerca propria dell’individuo, nelle condizioni di estrema precarietà invece la lotta per la sopravvivenza può portare a costruire modalità difensive tali da perdere il contatto con i desideri e la conseguente elaborazione di un personale progetto di vita. In entrambi i casi i modelli sociali che siano vip, veline  o boss della criminalità, sono una proposta di successo che affascina fino ad essere assunti passivamente, senza desiderio.
      Qualcuno potrebbe obiettare che anche i modelli sociali possono essere oggetto di desiderio, ritengo che ciò sia vero nella misura in cui la ricerca della meta (modello) esprima l’ascolto profondo della persona e la tensione verso di essa non sia frutto di mera induzione politico-sociale. Se così fosse anche l’induzione al gioco d’azzardo o ogni forma di dipendenza potrebbe essere annoverata quale frutto di desiderio!
      È bene esplicitare l’etimologia del termine desiderio. Deriva dal latino de-siderare che significa osservare intensamente (de) le stelle (sidera). Esprime la tensione verso qualcosa che attrae pur rimanendo meta incompiuta, non definitivamente raggiunta. L’oggetto del desiderio non è compiutamente afferrabile. Differentemente il termine bisogno deriva dal latino bi-somnium e, prima ancora, dal gotico sunia, che significa necessità, spinta al soddisfacimento. Il bisogno cerca di colmare una mancanza, il desiderio orienta la persona verso una direzione. La volontà favorisce l’applicazione, l’espressione del desiderio, cioè muove la persona verso la meta desiderata. 
       Fatta questa premessa quando parliamo di Pedagogia del Desiderio facciamo riferimento ad uno specifico intervento in cui la persona impara a riconoscere e a svelare i propri desideri oltre che prestare attenzione ai propri bisogni. La persona coinvolta in questa proposta riceve stimoli, fa esperienze, osserva mondi possibili, impara a fidarsi e ad avere stima di sé. A tal proposito è importante sottolineare che il desiderio non fa riferimento a ciò che è immediatamente raggiungibile, può essere mosso dall’intuizione e dalla ricerca utopica.  L’idealità muove da questa capacità di pensarsi e pensare le cose della vita che va al di là del contingente, ciò permette di mantenere viva la speranza superando le difficoltà e le contrarietà proprie del quotidiano e dell’ambiente in cui si vive.
       Tale apertura muove l’essere umano verso un progetto che lo trascende, la persona comprende che la realizzazione dei desideri è frutto del proprio impegno ma non in un orizzonte individualistico, il raggiungimento della meta è frutto della collaborazione e condivisione con altri, la meta desiderata è al contempo impegno e dono (Aristotele parla di “dono divino”), responsabilità e flessibilità, apporto personale e bisogno dell’altro. In tal senso i desideri non coltivano ideologie ma ideali di cambiamento, obiettivi condivisibili con compagni di cammino.
       La questione iniziale, se la tecnica possa essere considerata quale risposta risolutiva al desiderio dell’uomo, rimanda ad un campo di ricerca tutto da esplorare che non può risolversi nel" culto" del progresso tecno-scientifico. Annoto di seguito qualche spunto di ulteriore riflessione:
       L’essere umano abbisogna della tecnica ma unitamente al sentire religioso, trascendersi permette di non risolvere tutto in un mero immanentismo e questo custodisce l’espressione del desiderio.
       L’individuo è capace di mediare le pulsioni avvalendosi della tecnica. Ciò significa che la spinta a soddisfare un bisogno anziché portare ad un agito immediato, istintivo, può portare a fermarsi per ragionare e trovare possibili soluzioni e, a tal fine, inventare degli strumenti utili a questo.
       La persona può guardare e filtrare la realtà che vive inserendola in un contesto di significati, è il senso del mistero che appartiene ad ogni essere umano e che viene ad essere codificato attraverso una particolare religione. Di questo scriverò appresso…

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