Le parole della psicoterapia e la Parola dell’accompagnamento spirituale /4

by Mauro 28. maggio 2014 10:00

     Un ultimo passaggio all’interno di questo excursus: la qualità della parola è essenziale in ambedue gli approcci.
    Il terapeuta che usa molte parole per spiegare e convincere l’interlocutore presumibilmente sta rispondendo alla spinta “dacci dentro” contaminando l’intervento con tornaconti personali e cioè  bisogno di autoaffermazione, conferma in merito alla propria competenza, incapacità a sostenere il senso di frustrazione, o altro.
     Lo stesso varrebbe per l’accompagnatore spirituale che tratta in modo dogmatico il cristiano che chiede orientamento, senza permettersi di stare con i suoi vissuti e con la reale richiesta di aiuto.
       In ambedue gli interventi la qualità della parola è da correlarsi alla dimensione temporale: la fretta conduce all’evitamento di superficie, una lentezza oltremisura porterebbe al ripiegamento patologico.
      Se l’intervento terapeutico costituisce una danza relazionale, ove parole e silenzio sono veicolati dalla relazione empatica all’interno del setting, nell’accompagnamento spirituale l’ascolto profondo scaturisce dal primato dato all’azione di Dio: è Lui il protagonista e lo Spirito è il canale della grazia.
      Questa premessa fa cogliere quanto importante sia l’essenzialità della parola in quanto protagonista non è né il terapeuta e né il sacerdote.
      Perché il bisogno di riempire i silenzi? Perché la ricerca immediata di soluzioni al problema? Perché non riconoscere che lo stare nel lavorio delle questioni diventa l’occasione propizia per scoprire nuove prospettive o, nel caso spirituale, resa per aprirsi all’ascolto di Dio?
      È inoltre da ritenere assai preziosa l’esperienza fallimentare o, comunque, di crisi quando determina la richiesta di aiuto. Sovente essa si rivela quale occasione in cui il falso sé viene destrutturato e la persona si apre ad una nuova visione sulla sua vita. In ambedue i percorsi l’accentuato impegno autoreferenziale, egocentrico, si traduce in un grande investimento per mantenere un falso sé, a volte retto da un’idea onnipotente che impedisce la relazione aperta e adulta con l’altro. L’individuo che scopre e riconosce il suo limite, piuttosto, sembra alleggerirsi nel fronteggiare le questioni della vita.
      Presento rapidamente un episodio, quello della nascita di Gesù così come descritto nel vangelo di Luca 2, per chiarificare quanto appena detto, all’interno di un percorso di accompagnamento spirituale ove il discernimento sulla propria vita ha come criterio la Parola.
     Nei giorni del censimento indetto da Cesare Augusto, è questo il tempo della nascita del Verbo, della Parola che si fa carne. È il tempo in cui l’uomo vuole dimostrare a se stesso e agli altri la sua onnipotenza. Lo fa attraverso la misura in termini quantitativi, contando il numero degli abitanti delle terre da lui dominate. È l’uomo che vuole misurare la sua forza per ritenersi onnipotente.
      Gesù nasce proprio in questo contesto, la Parola essenziale per ritrovare direzione e verità nella propria esistenza arriva nel momento massimo di menzogna e di smarrimento di senso! Ciò smonta tutti i luoghi comuni, del tipo “si è fatto sempre così” o “lo dicono tutti”, quali criteri di verità. Non è il quantitativo a dare garanzia della veridicità della direzione.
      Sovente i santi, cioè coloro che hanno accolto pienamente la Parola, sono stati controcorrente ed incompresi dai più. Colui che accoglie la Parola, piuttosto, diventa segno per gli altri, per mostrare la vacuità della vita piena di parole ma senza Dio.
      Questo è un primo dato che rivela come la Parola può essere trovata anche nel momento di massima crisi, anzi alle volte quel momento è proprio l’occasione per rivelare l’unica luce che può ridare gusto alla propria esistenza. Il distinguo è dato proprio dall’ascolto: ciò che ascolti è quel che nutre la tua vita e che ti trasforma in esso.
      Gesù nasce in una mangiatoia, è il luogo in cui solitamente si dà il cibo agli animali. Essi sono le creature che non hanno parola, eppure gli animali non vanno oltre certi limiti, di ferocia ed aggressività, ove riesce ad arrivare la specie umana. La Parola si incarna proprio nel luogo in cui l’umanità cerca un nutrimento “bestiale”, cioè perdendo la propria ragionevolezza e dove le parole, prive di significato, sono usate per manipolare ed aggredire il prossimo. Nasce nel luogo dove l’essere umano sembrerebbe più distante da Dio, e lo è, proprio perché è lì che potrà ritrovarlo.
        Anche l’accompagnamento spirituale e quello terapeutico, partono da dove la persona è. Non c’è una capacità suggestiva o magica, del terapeuta o dell’accompagnatore spirituale, che possa all’istante ri-orientare la persona.
        L’essere umano è sempre in situazione, cioè all’interno di categorie spazio-temporali ed è partendo da questo contesto che si rende possibile il cammino di guarigione. Sarà la parola che sa stare in relazione, lì ove l’individuo si trova, a favorire i processi di cambiamento di cui la persona abbisogna.


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