Resistere al tempo

by Mauro 8. novembre 2020 14:58

Fino a quando si rimarrà ingabbiati nella convinzione che “il tempo è denaro” si manterrà una visione avida ed egocentrica della vita. Non ci sarà spazio per l’amore, per il dono gratuito, per l’incontro e l’ascolto disinteressato, non ci sarà memoria grata e apertura fiduciosa al futuro. Tutto avrà una misura, un calcolo di profitto, una piattaforma di convenienza da cui affacciarsi e, così, falsare la lettura della storia.

Vivere i propri giorni come custodi di una promessa, invece, significa percepirsi in cammino stando nell’occasione dell’oggi e cioè sapere che quel che siamo non è ancora compimento e che la storia abbisogna del nostro viaggio, perché chi cammina si consuma nel dono, mentre chi sta fermo rimane nell’avarizia dei suoi giorni.

Sembra che sia giunto il momento di destarsi da un “qui e ora” eccessivamente enfatizzato e che ha portato l’individuo a non vedere in prospettiva finendo, così, con il curare solo il contingente, spegnendo l’attesa fiduciosa nel domani. Anche la politica se manca di visione globale aperta al futuro, si riduce ad un programmare per segmenti disarticolati, così come quando si rammenda il manto stradale coprendo le buche con un po’ d’asfalto pur sapendo che, nell’arco di un mese, dell’intervento localizzato non rimarrà traccia. La fede allo stesso modo, se manca di relazione con la fonte da cui si attinge la luce per immergersi nel quotidiano, finisce col consegnare il credente alla fobia sociale senza più alcuna risorsa per lenire la paura e, sapientemente, affrontare la realtà. È ciò che rischia di accadere in questo tempo di pandemia.

Oggi meditiamo una parabola (Mt 25, 1 – 13) illuminante a tale proposito, perché ci rivela il senso dell’attesa. Pare che abbiamo perso questa capacità: la frenesia in cui si muove il nostro mondo procura uno stato ansiogeno ad ogni pausa, la narrazione biografica pare non avere più silenzi e spazi per riconoscersi diversi e, pertanto, distanti dall’altro.

Il silenzio così come la distanza e la diversità, infatti, sono elementi necessari al cammino perché altrimenti si vivrebbe in uno spazio troppo pieno e, dunque, senza possibilità di crescita in quanto sempre più stracolmo. Con “troppo pieno” non intendiamo la pienezza dell’essere ma la saturazione dell’accumulo, il riempirsi di ciò che illusoriamente dovrebbe appagare. La conseguenza è un vuoto vorticoso che procura fobia, paura del rimanere soli, bisogno di continuo rumore per stordirsi.

Gesù descrive il regno dei Cieli e, dunque, la meta di tutta la vita come un cammino che va incontro allo sposo. L’esistenza umana si esprime trovando il centro fuori di sé ed è necessario munirsi di una fiaccola per vedere ed orientarsi, e la stessa luce permetterà di essere riconosciuti.

Nel buio della notte la fiaccola mostra il cammino e perciò è necessario che l’olio basti per tutta la veglia altrimenti si perderebbe la meta. Questa luce viene alimentata dall’olio contenuto in un piccolo vaso e non in una scorta che garantirebbe un di più.

C’è un’essenzialità nel cammino della vita che non può essere trascurata: la quantità non indica la qualità del cammino, nel poco può stare il molto così come accade per ogni essere umano. Poca cosa noi siamo, fragili e incapaci di sostenere tutto, eppure questa pochezza è indispensabile per accogliere la presenza di Dio. In fondo la condizione umana ci rimanda costantemente al senso del limite ed è possibile fare un solo passo alla volta e, sebbene ci si affaccendi, le ore del giorno sono sempre le stesse.

Quando si vive per accumulare un grande quantitativo di cose, per alimentarsi di continui successi, in realtà l’individuo perde il gusto dell’amore e finisce con il cadere in un vissuto sempre più ansiogeno e depressivo fino ad arrivare al burnout, o a varie forme di alienazione come le dipendenze.

Custodire l’olio in un piccolo vaso rimanda ad un quotidiano capace di mantenere la misura colma. È il desiderio dell’incontro che va alimentato e questo è possibile a partire dall’accoglienza del dono dello Spirito Santo, l’Amore.

Secondo la prospettiva evangelica, però, il conservare è legato al consumare: conserva per sempre chi si consuma per amore perché l’amore è l’unico dono che passa all’eternità, cioè ha un valore che non tramonta in quanto è l’unica realtà terrena che ritroveremo nel Cielo. Tornano in mente le di Gesù a Giuda quando Maria cosparse i piedi del Maestro con trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura». Chi vive per se stesso disperde, chi si dona conserva per sempre!

Nel mezzo della notte lo sposo arriva e le vergini si destano. È il risveglio proprio della resurrezione, tutti passeremo per la morte ma chi ha alimentato la fiaccola con l’olio dell’amore si consegna, sapendo che la meta è oltre e la morte è solo passaggio.

Le vergini stolte però non sono preparate, non hanno la luce perché la loro esistenza ha conosciuto altro. È la vita schiacciata in un pragmatismo che vorrebbe trovare il fine ultimo delle cose nell’appagamento immediato, nella vittoria per affermare se stessi. Questo criterio, dunque, cristallizza il cammino esistenziale confinandolo nella logica del potere e dell’accumulo. Procura una catena che impoverisce l’animo umano rendendolo insensibile all’amore.

La non conoscenza dello Sposo, allora, è mancanza di esperienza e ciò denota che Dio lo si conosce profondamente nel cammino terreno. Cristo è la porta da attraversare per affacciarsi al Padre. Resistere a quel varco equivale a riporre la propria fiducia altrove e a non discernere che per muoversi, in primo luogo, è necessario l’olio e quindi accogliere il dono del Cielo: avere il cuore pieno dell’Amore che viene dal Padre.

È così che la storia quotidiana torna ad essere abitata da Dio e la memoria dei propri giorni segnata dalla gratitudine e dal gusto che spinge nell’approfondire ulteriormente. L’attesa permette di mantenere la porta aperta, così come Israele nel deserto riceveva la manna necessaria per un giorno. Il cammino cristiano, allora, mantiene vivo il sapore della promessa di cui ciascuno è in prima persona il custode.

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